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Nasce Up, lo spazio di una generazione che non si arrende

Nelle pagine di questa rubrica leggerete di come migliaia di ragazze e di ragazzi ogni giorno si mettono in gioco nonostante un Paese che ci odia. Non ho scelto una parola a caso. L’Italia non è un Paese per giovani. E non ce ne rendiamo conto adesso. Lo denunciamo da anni. Perché di odio si tratta.

E nonostante gli sforzi, nulla è servito a stravolgere l’inesorabile declino che la nostra generazione è obbligata a vivere. Siamo la Generazione Zeta. Ma altri ci definiscono ‘Generazione Zero’. E lo fanno perché vorrebbe confinarci in un luogo in cui noi possiamo muoverci. Un limbo in cui continuare a stare tra color che son sospesi. E non è giusto.

Eurostat ha definito l’Italia maglia nera in Europa per i ragazzi Neet, uomini e donne tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione. Il dato italiano dei giovani uomini Neet è il più alto tra i Ventisette (14,5%). Per le giovani donne, invece, l’Italia registra il secondo peggior tasso Ue. Numeri che dimostrano come migliaia di giovani credano di avere ZERO possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro e ZERO possibilità di istruirsi adeguatamente. In Italia circa 400mila giovani tra i 20 e i 29 anni guadagnano meno di 870 euro al mese.

Senza tralasciare il fatto che il 60% dei contratti offerti agli under 35 è precario, il 40% degli under 35 guadagna meno di 1000 euro al mese e la disoccupazione giovanile supera il 23%. Con questi numeri le possibilità di crescita e di stabilità sono pari a ZERO. Siamo uno Stato che investe circa il 16% del Pil in pensioni, e, nonostante ciò, la nostra generazione difficilmente potrà averne una. Infatti, secondo il Censis, nel 2050 oltre 6 milioni di giovani avrà pensioni sotto la soglia di povertà. Negli ultimi 10 anni, oltre 350mila under 35 hanno lasciato l’Italia. Si sono costruiti un futuro altrove. Dal 2002 al 2020 oltre 1 milione di under 35 – il 30% in possesso di laurea – è emigrato dal Sud. Questo perché al Nord le possibilità di vita sono molto più alte e per un giovane meridionale invece sono troppo poche, quasi ZERO. 

Siamo il Paese più vecchio d’Europa, il secondo al mondo dopo il Giappone, spaventato e angosciato dalla denatalità. Ai giovani viene chiesto il coraggio di costruirsi una famiglia. E qui sorge un dubbio: veramente ci considerano solo quando siamo necessari per procreare? E come pensano che un giovane possa mettere al mondo dei figli se non ha un contratto ma vive di precarietà? O se guadagna 800 euro al mese spendendone 600 per una stanza? O se non può comprarsi una casa perché non può accedere ad un mutuo? O se non ha genitori che lo sostengono, se deve scegliere tra lavoro e maternità, se non ha i soldi per finire gli studi o se pur di lavorare e guadagnare dignitosamente deve lasciare l’Italia? Come fanno a non rendersi conto che la nostra capacità di agire è pari a ZERO?

La politica presta ZERO attenzione ai giovani e di conseguenza i giovani non legittimano l’esercizio della politica. La nostra generazione non vota, non si esprime e quando cerca di pesare politicamente non riesce. Il problema si mostra quando alla prova dei fatti ci rendiamo conto che la nostra agenda non è interessante per i 2/3 dei partiti. Sono anni che la società civile reclama a gran voce una legge che permetta ai fuorisede, oltre 5 milioni, di poter votare. Un testo è arrivato in Aula raccogliendo l’appello di una serie di associazioni tra le quali “Voto dove vivo”.

Si è arenato a causa di un emendamento della maggioranza che ha riscritto il testo formulando una delega al governo a emanare entro 18 mesi uno o più decreti legislativi che consentano il voto dei fuorisede. Ennesimo schiaffo in faccia alla nostra generazione. I giovani sono a tutti gli effetti una classe sociale.

Viviamo tutte le contraddizioni che ne legittimano l’esistenza. Le battaglie sulla casa, sul lavoro, sui diritti, contro il cambiamento climatico, ci contraddistinguono e ci differenziano dalle altre generazioni. Il problema è che a mancare è proprio la coscienza di classe. Infatti, in un Paese ostile ai suoi giovani, dovremmo impegnarci per cambiare completamente spartito provando a reagire per poi agire.

In una società in cui la nostra classe sociale non ha alcuna rappresentanza, non è coinvolta, non ha ruoli, siamo obbligati ad organizzarci per sopravvivere. Sapete come? Ostruendo. Continuando ad ostruire per riuscire a costruire un argine. Perché è necessario urlare che la nostra generazione non vale ZERO. Sarà difficilissimo. Ma il primo passo non ti porta dove vuoi, ma ti toglie da dove sei. E noi siamo qui per questo.

*Ventisette anni, romano, appassionato di politica, comunicazione e giornalismo. Ha iniziato a 21 anni come collaboratore parlamentare, ha lavorato come portavoce della viceministra allo Sviluppo economico Alessandra Todde ai tempi del Governo Conte e Draghi. È stato studente della ‘Scuola di Politiche’ di Enrico Letta e ha all’attivo diverse collaborazioni giornalistiche. Tra queste ci sono quelle con ‘Il Messaggero’ e ‘Internazionale’. Nel 2018 Jacopo Gasparetti scrive un libro sul neofascismo e i giovani, edito da Piemme. È anche tra i fondatori delle associazioni Green Atlas, Siamo Presente e La Giovane Roma. Si definisce ‘Attivista per il presente e il futuro dei giovani’.

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