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Atlante geopolitico, l’India: un capitolo tutto da scrivere

Il decennio indiano lo chiamano. A torto o a ragione, tutte le previsioni economiche concordano nel riconoscere l’India come una delle potenze economiche emergenti più vivaci. Già quinta economia mondiale e paese più popoloso del mondo, il suo PIL supererà quello di Germania e Giappone entro il 2028. Au revoir all’età dell’oro del capitalismo occidentale, tra pochi anni Nuova Delhi diverrà la terza economia mondiale. L’ “ombelico del mondo” come viene definita in The Millionaire, capolavoro di Danny Boyle e vincitore di ben otto premi Oscar, che ne fa un affresco incredibilmente veritiero.

Supportata da una continua crescita demografica, l’India ha già superato Pechino e raggiungerà il picco di 1,7 miliardi di abitanti entro il 2064. Entro quell’anno, la sua popolazione supererà del 50% quella del Dragone cinese e rappresenterà un sesto della forza-lavoro mondiale. Motivo per cui, e questa è una delle più affascinanti peculiarità indiane, il sub-continente esercita un soft power non indifferente sul mondo, in particolar modo sui paesi occidentali. Alla domanda su quale preferiscano tra India e Cina, l’opinione pubblica americana intervistata propende per un 70% più sulla prima che sulla seconda. Di origine indiane è il Ceo di Google, Sundar Pichai, quello di Microsoft, Satya Nadella, Arvid Krishna di IBM, il papabile governatore della Banca Mondiale, Ajay Banga e via discorrendo. Un all-in di tutti i più grandi colossi informatici americani. Di cinesi, invece, qualcuno ne può contare uno?

Contraddizioni indiane. Le baraccopoli nell’area di Malad East, vicino al Parco Nazionale di Sanjay Gandhi, a Mumbai. La Giornata della Terra mondiale viene celebrata annualmente il 22 aprile, una data creata dalle Nazioni Unite per sensibilizzare la popolazione sui valori della conservazione della biodiversità e sul problema dell’inquinamento.

Considerata già durante il colonialismo, guai a toccarla, il gioiello più prezioso della corona britannica, impreziosita proprio da gemme depredate dal sub-continente, l’India e la sua intellighenzia è sempre stata una delle più stimate e rispettate tra le colonie europee. Ad oggi, la diaspora indiana conta più di 18 milioni di individui in giro per il globo. Settima esportatrice di servizi, i più grandi data scientists al mondo sono di origine indiana. E mentre da una parte l’infelice politica del figlio unico ha condannato la Cina ad una forza-lavoro in via di riduzione con un conseguente aumento della spesa pubblica, il sub-continente continua a crescere; demograficamente, economicamente e culturalmente. Un guaio tutto questo per la fabbrica del mondo asiatica, bisognosa di una continua manodopera qualificata per soddisfare il suo bisogno primario: produrre. 

Ecco dunque che arriva in soccorso Nuova Delhi. Il governo del Primo Ministro Modi ha annunciato un piano di sussidi da 10 miliardi di dollari per attrarre i maggiori produttori di semiconduttori ad investire in India, delineando una chiara strategia di politica industriale. Con l’aumento delle tensioni tra USA e Cina e la riscoperta fragilità delle catene del valore globali troppo dipendenti dal Dragone, il sub-continente si inserisce perfettamente in tale congiuntura economica. Il ragionamento del governo indiano è semplice, lineare: visto il bisogno diffuso di sganciarsi dalle dipendenze cinesi, perché non farlo diversificando allora la produzione proprio in India che, nonostante luci e ombre, rimane pur sempre una democrazia (illiberale) stabile.

Sundar Pichai, CEO di Google e Alphabet, partecipa a un evento stampa per annunciare che Google è il nuovo partner ufficiale della Nazionale Femminile presso Google Berlin. Foto: Christoph Soeder/dpa

Trasformare il sub-continente in un nuovo hub per la produzione degli oggetti necessari alla “sopravvivenza” dell’uomo della società del benessere come smartphones, batterie, veicoli elettrici: questo è il sogno più recondito di Nuova Delhi. Un’utopia? Forse. Si da il caso però, che già la Apple, ormai da qualche anno, assembla il 7% degli IPhone in India. A fronte comunque di un 95% che continua ad essere fatto in Cina. La disperata ricerca, per meglio dire ossessione, da parte di Washington di recidere la stretta catena che la stritola commercialmente al Dragone, ha portato anche l’americana Micron Technology ad aprire uno stabilimento per la produzione di micro-chip in Gujarat, dal valore di 2,75 miliardi di dollari e un’altra, Applied Materials, ad aprire un impianto a Bangalore. 

Srinagar. Nella capitale della regione del Kashmir amministrata dall’India, una donna migrante incinta proveniente dallo stato indiano del Rajasthan si riposa vicino alle scope sul ciglio della strada.  (Credit Image: © Mubashir Hassan/Pacific Press via ZUMA Press Wire)

Ciononostante, è ancora presto per cantar vittoria. L’India deve affrontare diversi ordini di problemi prima di ambire a sostituire la Cina, finanche nel lungo periodo. Innanzitutto il suo sviluppo, contrariamente a quello del Dragone, dipende meno dalla manifattura che genera solo il 14% del PIL indiano contro un 27% di quello cinese. Complici una burocrazia corrotta, lenta e inefficace, Nuova Delhi si è da sempre specializzata più sulla parte software che hardware, sui servizi più che sui prodotti industriali. Rinveniamo questo trend anche nelle due diverse mentalità, indiana e cinese, a confronto. Mentre quest’ultima, condizionata da un tipo di cultura politico-economica accentratrice, ha puntato il tutto e per tutto sull’assemblaggio, sulla pianificazione industriale e ha costruito una fitta rete infrastrutturale invidiabile collegando tutto il paese, in India la situazione è alquanto diversa. 

Le reti di trasporto sono estremamente disastrate. Alcuni territori sono totalmente scollegati e isolati. Tale condizione ha fatto si che fossero più i servizi e il design ad essere sviluppati piuttosto della manifattura che necessita, per essere pienamente operativa, di una fitta rete di infrastrutture.

Atlante geopolitico, India: il grande enigma

Il fatto che la Cina sia un’autocrazia, possiamo dire anche dittatura, molto accentratrice, in cui le decisioni filano da A a B, senza intoppi, senza passaggi burocratici, sicuramente aiuta. Sta di fatto che la maggior parte della forza-lavoro indiana rimane comunque altamente non-qualificata. Oltre 60 milioni di persone sono disoccupate o vivono di agricoltura. Questo rigido sistema castale, da cui l’India non riesce proprio ad emanciparsi, non sempre innesca nella mentalità delle persone una spinta all’iniziativa imprenditoriale. Quanto di più diverso dall’ideale del self-made man, svincolato da legami di nascita, che ha invece contribuito a forgiare e a diffondere il capitalismo americano. 

Nonostante i massicci interventi del governo su sanità, istruzione pubblica e un continuo potenziamento delle infrastrutture, a partire da quella ferroviaria, importata dagli inglesi al tempo del colonialismo e costitutiva dell’unità indiana, bisogna essere onesti. In India, due terzi della popolazione, e stiamo parlando di una nazione che conta 1,4 miliardi di abitanti quindi lascio a voi il calcolo, vive ancora in povertà assoluta.

Il 40,5% della ricchezza del paese è nelle mani dell’1% della popolazione e il 70% degli indiani sfama le proprie famiglie con meno di due dollari al giorno. Questi dati fanno rabbrividire. Sono la fotografia di un paese, e chi ci è stato lo ha vissuto sulla propria pelle, in cui la vista di un bambino per terra, emaciato e malnutrito, è normalità. In cui morire per una epidemia di colera è ancora possibile. Però, c’è sempre un però, lo sviluppo indiano può essere accompagnato da una serie di riforme sociali. La sua crescita economica può essere ridistribuita. Basta solo la volontà politica per farle certe cose. 

L’India, il paese delle meraviglie e dei grandi orrori, della solidarietà tra persone che non hanno nulla ma che anche nel loro stesso nulla riescono sempre a restituirti un sorriso, il più tenero e sincero che si possa donare. Il paese della musica, dell’industria cinematografica più grande al mondo, Bolliwood, dei colori sgargianti, degli slum, dei templi, delle pire di cadaveri che ardono sulle sponde del Gange. Un’unione di tutto. Questo è il fascino dell’incredibile India. Luci e ombre di un paese sull’orlo del baratro che sta per diventare la terza economia mondiale. 

(Nella foto in evidenza Il Presidente degli Stati Uniti. Joe Biden, guarda verso Satya Nadella, CEO di Microsoft, durante un incontro con il Primo Ministro Narendra Modi della Repubblica dell’India e alti funzionari e CEO di aziende americane e indiane, riuniti per discutere di innovazione, investimenti e produzione in vari settori tecnologici, tra cui l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e lo spazio, alla Casa Bianca a Washington, DC)

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