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Swiss School of Management, una business school dal respiro internazionale

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Nel 1981, nei pressi di Zurigo, prende vita la Swiss School of Management, una business school d’eccellenza interamente in lingua inglese, nata con l’obiettivo di formare i leader aziendali del futuro. Vent’anni fa apre la sede romana, a Campo de’ Fiori: è la prima al di fuori della Confederazione elvetica. Col tempo SSM diventa un vero e proprio network che oggi include, fra le altre, le sedi di Barcellona, Il Cairo, Dubai, Bahrein, Singapore e Seoul.

“Adottiamo i metodi educativi delle migliori università del mondo: una formazione straniera rimanendo in Italia”, spiega Stefano Anzuinelli, school principal della sede bresciana, inaugurata nel 2021, e di quella milanese, che aprirà i battenti il prossimo autunno.

Anzuinelli, qual è l’aspetto più interessante della Swiss School of Management?

Eroghiamo una formazione accademica internazionale pur restando in Italia. Abbiniamo la Swiss quality all’Italian tradition. Il sistema universitario italiano è molto valido ma a volte è visto dagli studenti come un po’ formale e distaccato. La formazione è fatta di teoria ma anche di relazioni umane. Noi cerchiamo di adottare uno spirito più familiare, che non si limiti allo studio di grandi tomi. Abbiamo pochi libri di testo ma ci aggiorniamo continuamente. Se ti occupi di mergers & acquisitions, una materia in costante evoluzione, un libro di testo scritto cinque anni fa è già superato dai casi recenti. Ci focalizziamo su decine di casi di studio reali, che aiutano i giovani universitari a calarsi nella concretezza dell’economia moderna.

Un altro cardine del vostro approccio è il numero ridotto di studenti.

Less is more? Non so dirlo con certezza. È indubbio però che avere classi di 15 studenti consente di ritagliare un percorso su misura per ogni alunno, sia nell’educazione che nelle proposte di incontri, approfondimenti e stage formativi. Per questo al momento accogliamo solo 15 studenti per corso. Ogni ragazzo è un universo da scoprire, con le proprie peculiarità e i propri talenti da coltivare per poter eccellere.

Qual è il profilo ideale dello studente della SSM?

Qualcuno che sfida le convenzioni e che non è spaventato all’idea di andare a vivere all’estero. Qualcuno che ha già viaggiato e che parla molto bene l’inglese perché la formazione avviene esclusivamente in inglese. E poi ragazzi curiosi, che abbiano una vocazione imprenditoriale. Circa la metà dei nostri studenti proviene da famiglie di imprenditori; l’altro 50% da altri contesti. Il denominatore comune è la capacità di accogliere il rischio come sfida per progredire.

Qual è il vantaggio principale di far parte di un network con sedi dislocate in tutto il mondo?

Swiss School of Management comprende 22 sedi, fra quelle dirette, gestite cioè dalla sede svizzera, e quelle indirette. Ciò consente a tutti gli studenti di frequentare i corsi cambiando sede ogni tre mesi, senza costi aggiuntivi. È il progetto Ulisse. I programmi sono sincronizzati, per cui uno studente, dopo un trimestre a Brescia, può tranquillamente seguire quello successivo a Dubai, al Cairo, a Singapore o ad Amsterdam, senza restare indietro con gli esami. SSM fa parte inoltre del più ampio network Businet, che riunisce 250 business school nel mondo. Due volte all’anno ci incontriamo per delle conferenze globali, in cui diamo vita a progetti volti a favorire la mobilità internazionale degli studenti.

Quanto è importante per un ragazzo maturare esperienze internazionali?

L’esperienza vissuta all’estero da soli aiuta a crescere e rendersi indipendenti. E a gettare alle ortiche pregiudizi e convincimenti. In Italia molto spesso i nostri adolescenti faticano ad andare a vivere da soli, mentre nel Nord Europa uscire di casa a 18 anni rappresenta la normalità.

L’obiettivo è anche quello di favorire un’entrata tempestiva nel mondo del lavoro.

Alla SSM l’idea del fuoricorso non è concepita. Il nostro sistema universitario produce molti fuoricorso che vanno spesso a rimpolpare le fila dei Neet. Abbiamo ragazzi in Europa o in Asia che a 18 anni hanno finito il liceo e a 21 sono laureati e pronti per lavorare. A vent’anni siamo energia pura, è l’età in cui si possono realizzare cose straordinarie. Se io incomincio a 28 anni, sto diluendo questa energia. Così si perdono occasioni fondamentali. La narrazione dominante nel nostro Paese è quella del giovane bamboccione che non sa che fare della propria vita; io di sentire etichettare i giovani non ne posso più perché sto in mezzo a loro ogni giorno: la gioventù non è questa cosa qui.

Di che cosa hanno bisogno i giovani di oggi per uscire allo scoperto?

Viviamo in un’epoca straordinaria e dobbiamo trasferire ai ragazzi molto ottimismo, perché di clima plumbeo nel nostro Paese se ne respira già abbastanza. I ragazzi non hanno bisogno di gente che li giudica, ma di mentori che credano in loro e sappiano valorizzarli. La narrazione va invertita. Io conosco giovani che hanno fatto cose straordinarie a 25 anni. Davide Dattoli, un mio ex studente, è il fondatore di Talent Garden; oppure Paolo De Nadai, che ha fondato ScuolaZoo e WeRoad. Gente di successo di 30 anni che però ha incominciato quando ne aveva 20.

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