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Perché quello che sta accadendo in Niger ci riguarda da vicino?

Niamey, Niger. È il 26 luglio. Il presidente democraticamente eletto Mohamed Bazoum viene arrestato dalla sua Guardia Presidenziale, la stessa che avrebbe dovuto proteggerlo. Da sette giorni è prigioniero nel palazzo presidenziale. Attende, aspettando che la situazione evolva, aspettando che il suo acerrimo rivale, il generale Tiani, prenda una decisione, incalzato com’è dall’Organizzazione dell’Africa Occidentale (ECOWAS) che minaccia l’uso della forza se la situazione non dovesse rientrare entro sei giorni. Questo l’ultimatum. Appoggiato tuttavia dai vicini Mali e Burkina Faso sotto la benedizione della Madre Russia, Tiani è consapevole di essere appoggiato dagli alleati.

Golpe in Niger.  Mohamed Bazoum, Presidente della Repubblica del Niger, deposto dal capo della sua Guardia Presidenziale

Ma facciamo un passo indietro. Bazoum è stato eletto nel 2021, alla fine della presidenza di Mohamadou Issoufou che, guarda caso, è colui che ha nominato proprio Tiani a capo della sua Guardia Presidenziale. Dopo il passaggio di testimone tra Issoufou e Bazoum, si vociferava che quest’ultimo volesse sostituire Tiani. Sarebbe dunque questo il motivo scatenante per cui il generale ha organizzato un colpo di stato: non vuole rischiare di perdere il posto. Tuttavia, i legami che l’ex presidente Issoufou ha stretto sia con Bazoum che con Tiani e una sua eventuale mediazione potrebbero aiutare.

Ciononostante, la situazione è ancor più grave di quel che appare. Va al di la di quello che può considerarsi un mero conflitto regionale. E dunque, perché il golpe in Niger riguarda da vicino anche l’Europa, in particolare l’Italia? Perché dovrebbero interessarci le sorti di uno dei paesi più poveri al mondo, a più di 3000 Km dalle nostre coste? Uno Stato che si posiziona terzultimo, secondo l’ONU, per Indice di Sviluppo Umano. Costituito per lo più da aree desertiche all’interno di quella striscia di Stati che taglia orizzontalmente il continente africano da ovest ad est sotto il Sahara, il Sahel. 

La stabilità del Sahel è uno dei perni attorno al quale ruota la strategia del “Mediterraneo Allargato”. Con questa espressione, presentata durante il summit NATO dello scorso anno a Madrid, si vuol far comprendere come le sorti di quei paesi nord-africani affacciati sul Mediterraneo e i loro vicini nella regione del Sahel siano indissolubilmente legate a quelle dei paesi collocati sulle sue sponde nord. Il mare nostrum, in cui tutto è interconnesso. Stabilizzare il Nord-Africa e il Sahel deve essere una prerogativa dell’Unione Europea, soprattutto per quei paesi costieri come l’Italia. È perciò necessaria un’iniziativa comunitaria congiunta, compartecipata da tutti gli Stati membri dell’Unione.

I paesi, singolarmente, niente possono contro le minacce che ammantano il Sahel. E quando i politici si sgolano al suon di: “Aiutiamoli a casa loro”, cavalcando una propaganda spicciola fatta sulla pelle delle persone senza tuttavia afferrare il vero senso di quelle parole, non dicono qualcosa di sbagliato. Paesi instabili comportano vuoti di potere. Tuttavia, i vuoti di potere devono essere in qualche modo colmati. E da chi? Qui risiede il problema. Dai terroristi jihadisti, già molto presenti nel Sahel, che si espandono conquistando terreno. E dai trafficanti di esseri umani i quali, senza un governo stabile che supervisioni i flussi migratori, operano incontrollati. I migranti si riversano così sulle coste nord-africane, imbarcandosi per i loro viaggi disperati verso i paesi di primo approdo, tra cui la nostra Italia. 

Ciò che sta accadendo in Niger rientra perfettamente in questo schema. Ultimo baluardo democratico nel Sahel, dopo i colpi di stato in Mali nel 2021 e in Burkina Faso nel 2022, il governo nigerino rimane l’unico alleato occidentale della regione. In particolare con la Francia il cui brutale e scellerato colonialismo sulla regione del Sahel, definita a buon titolo Françeafrique, ha provocato enormi danni allo sviluppo di questi paesi.

Con la cacciata delle forze occidentali, che nel paese hanno mantenuto dei contingenti militari (rispettivamente 1500 francesi, 1100 statunitensi e 350 italiani) si verrebbe a creare un vuoto di potere che darebbe modo a celle jihadiste di radicarsi nel paese. Non solo, tenete presente che il Niger, con i suoi 28 milioni di abitanti e un tasso di fertilità pari a quasi sette figli per donna, rappresenta una bomba demografica pronta ad esplodere. Senza un apparato governativo stabile che faccia, per una volta, il bene dei cittadini, questi si riverseranno sulle coste nord-africane per imbarcarsi verso l’Europa, ergo l’Italia, desiderando una vita che sia degna di essere vissuta. Il Niger confina con la Libia i cui porosi confini possono facilmente essere attraversati da costanti flussi di migranti. 

La pressione sui governi europei provocata dall’arrivo in migliaia sulle coste dei paesi di primo approdo rappresenta una leva politica senz’altro utilizzata da un altro attore strategico nell’area. L’uomo nell’ombra: la Russia. La longa manus russa tramite la brigata di mercenari Wagner è onnipresente. Prima in Mali, poi in Burkina Faso e ancora nella Repubblica Centroafricana, cavalcano il diffuso sentimento anti-occidentale, specialmente anti-francese, attraverso campagne mediatiche costanti realizzate nella temuta fabbrica dei Troll. Cartoni animati dove topi dalle fattezze umane chiamati Emmanuel – Emmanuel Macron forse? Stiamo parlando proprio di lui? – minacciano i valorosi guerrieri africani. A soccorrerli però, giungono dei forestieri, uomini bianchi con uno stemma inquietante, quello della Wagner. O un altro, in cui un Orso di nome Russia, un nome insolito a dire il vero, viene a ristabilire l’ordine tra gli animali della Savana. È così che la Wagner fa leva sull’ignoranza della popolazione e fomenta l’odio nei confronti di una presenza, quella francese-occidentale, che è stata, bisogna riconoscerlo, deleteria. E le immagini a dir poco inquietanti e singolari di giovani nigerini che sventolano nella piazza della Concertation di Niamey bandiere russe nuove di zecca raccontano proprio questo. I ragazzi inneggiano ai liberatori. Questi, però, altro non sono che oppressori, travestiti certo, ma pur sempre oppressori che supportano i locali regimi militari-autoritari al fine di destabilizzare l’area del Sahel ed esercitare pressioni sui governi occidentali, sfruttandone anche le risorse. Mercenari venuti da quello stesso paese che ha violato la sovranità nazionale di uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale in una guerra che da ormai due anni miete migliaia e migliaia di vittime nell’est Europa. 

I mercenari di Wagner in Africa. La propaganda russa nel piccolo paese africano si fa sempre più pressante

Il golpe in Niger si inserisce, dunque, in un quadro in cui la presenza egemonica occidentale nel Sahel sta pian piano declinando, mentre è in ascesa quella politico-militare russa. Il Cremlino intende diffondere il suo verbo su quei territori che più di tutti hanno patito il feroce colonialismo occidentale-francese. Un colonialismo che si è sposato e si sposa tutt’ora con gli interessi industriali dell’Eliseo. Il Niger possiede infatti il 7% di tutte le riserve di Uranio mondiali, un metallo essenziale per alimentare le centrali nucleari. E indovinate chi è il maggior produttore di energia nucleare in Europa? Proprio la stessa Francia che, per bocca del suo presidente Macron, è salda nel condannare quanto accaduto e ha subitaneamente bloccato tutti gli aiuti finanziari verso il paese. Aiuti bloccati, a loro volta, anche dall’ECOWAS, dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. In tale contesto, il Niger, così fragile economicamente, non potrà reggere a lungo.

La situazione è sospesa. Muta di ora in ora. Da una parte, si tentano le mediazioni, in particolare del presidente emerito Issoufou e di quello del vicino Ciad che possano far rinsavire il generale Tiani. Dall’altra, l’ECOWAS si è detta pronta ad utilizzare la forza, supportata da un mal celato sostegno occidentale. Tuttavia, Mali e Burkina Faso, appoggiati invece dalla Russia, hanno dichiarato la difesa incrollabile del regime del generale Tiani, supportando i golpisti e i militari. 

È forse il prologo di una guerra di prossimità tra Russia e Occidente proprio nel Sahel? Non bastava l’Ucraina? A pagarne le amare conseguenze però saranno come sempre i più poveri, gli sfollati, i bambini, le donne. Il popolo di un paese già agli ultimi posti per indice di sviluppo umano che tanto, troppo, ha già subito. 

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