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AI, Accoto: “Il virtuale ridisegnerà il senso del reale”

Dall’AI alla blockchain, dai big data alla computazione quantistica, dall’automazione al metaverso, l’innovazione tecnologica emergente sta trasformando radicalmente la società in cui viviamo. Cosimo Accoto, filosofo tech, research affiliate e fellow al MIT, adjunct professor all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e autore di un’originale trilogia filosofica sulla civiltà digitale (Il mondo in sintesi, Il mondo ex machina, Il mondo dato), ci fornisce gli strumenti per comprendere la portata e il significato profondo di queste rivoluzioni, che sconvolgeranno il mondo del lavoro, il modo di comunicare e produrre testi e immagini, di navigare in rete, con un internet sempre più immersivo che contribuirà a ridisegnare il senso del reale. 

Si parla sempre più spesso di disruptive technologies. Che cosa sono e perché il loro impatto sulla società rischia di essere così travolgente? 

Sono rivoluzioni tecnologiche che scardinano in profondità economie, mercati e industrie. Non introducono nella società solo innovazioni tecnologiche, ma cambi culturali e istituzionali. Non trasformano, cioè, solo il ‘cosa’ produciamo, ma ‘come’ ci organizziamo per produrre merci, servizi ed esperienze. Oggi si parla soprattutto di intelligenza artificiale, ma ci sono altre tre rivoluzioni del deep tech: computazione quantistica, biologia sintetica, blockchain decentralizzata. Da innovazioni scientifiche stanno divenendo sempre più soluzioni ingegneristiche con un passaggio dirompente dai laboratori ai mercati. Cambieranno modelli di business, strategie competitive, assetti geopolitici.

L’arrivo di ChatGPT è stato salutato con grande entusiasmo. La produzione di linguaggio sintetico è il preludio alla scomparsa dell’autore di testo? 

Fronteggiamo un passaggio di civiltà epocale, non episodico. Di fatto, un LLM è un sequenziatore linguistico-probabilistico. È, cioè, un modello matematico della distribuzione di probabilità delle parole di una lingua scritta che si sforza di minimizzare la crossentropia (cioè lo scarto tra due potenziali distribuzioni di frequenza) massimizzando la sua capacità performativa come text predictor. Ma al di là dei tecnicismi, è l’introduzione nella società della parola e scrittura non-umana, fatta in simulazione da macchine. È la fine della scrittura come l’abbiamo intesa: prodotta solo da autori umani (per umani), immobilizzata una volta scritta e distinta dalla computazione. Non sarà più così.

L’AI generativa produce non solo testi ma anche immagini di sintesi. Qual è il loro valore e il loro significato? 

Da discriminativo-classificatoria (es. riconoscere un volto), l’AI si è fatta inflattivo-generativa (es. ricreare un volto). E siamo solo agli inizi dell’era inflattiva dell’AI generativa. L’immagine sintetica non è più una fotografia del reale, ma una sintografia: è cioè il prodotto della latenza dei dati, delle sue potenzialità computazionali. Non è più prodotto chimico come un tempo, ma un risultato algoritmico. Un visuale che non ha più referente nella realtà (deep fake). Il valore della generatività artificiale è enorme: dalla produzione artistica alla diagnostica medica, dal marketing digitale al design industriale. Ma grandi sono i rischi: dalla falsificazione mediatica alla manipolazione politica.

Quali sono le altre applicazioni dell’AI di tipo generativo?

Sempre più si profila all’orizzonte non solo una nuova medialità sintetica (testi, immagini, suoni), ma più profondamente anche una nuova economia sintetica popolata e animata da “agenti autonomi”. Dalla medialità alla produttività: così in molti immaginano di (ri)organizzare in modo automatizzato il lavoro necessario a completare compiti complessi e articolati (non solo il produrre una singola immagine o uno specifico testo). Dato un obiettivo, un agente autonomo definisce i compiti iniziali creando sottotask, li mette in esecuzione con una scala di priorità ripetendo il processo, per cicli migliorativi, fino al conseguimento finale dell’obiettivo. Qualcuno l’ha chiamata “iperautomazione”.

Che impatto avrà l’AI sul mondo del lavoro? Saranno più i lavori che scompariranno o quelli che nasceranno grazie a questa tecnologia?

Non è una questione di numeri e previsioni impossibili da fare. Piuttosto, nell’ultimo suo libro Power & Progress, Acemoglu, economista del MIT, ci invita a guardare a come evolvono i rapporti tra automation e augmentation. Nelle passate rivoluzioni dell’automazione (AI è anche automazione) le imprese hanno spinto molto su quest’ultima per fare crescere la loro produttività media, a scapito della produttività marginale del lavoratore. Solo con le lotte sindacali e l’intervento delle istituzioni si riequilibrarono i rapporti. Senza incentivi all’augmentation, e cioè al potenziamento e rinnovamento di capacità e competenze umane, c’è il rischio che le imprese si orientino pesantemente solo verso l’automation. Occorrerà impegnarsi, quindi, perché non sia così.

Quanto è centrale il ruolo dei dati nell’AI e nelle nuove tecnologie?

Senza dati non c’è intelligenza artificiale, di dati non può fare a meno l’automazione robotica, dati sintetici produce la simulazione computazionale che andranno a superare quelli reali. E ancora, i metadati sono al centro delle tecnologie di tokenizzazione, anche quella ultima infungibile degli asset crittografici, mentre in cybersicurezza si parla sempre più di militarizzazione del dato a proposito di attacchi criminali e di cyberguerra. Infine, la misurazione è l’operazione chiave della computazione quantistica che ci porterà progressivamente dai bit ai qubit. Mi sembra evidente che la rivoluzione del dato è al centro delle trasformazioni tech. Non comprenderlo è una miopia che pagheremo cara.

Il nuovo internet è quello delle tecnologie immersive, del metaverso. Sarà ancora possibile in futuro distinguere tra virtuale e reale? 

Quale che sarà la forma ultima che il cosiddetto “metaverso” prenderà (molte e diverse nel tempo, credo), l’immersione sarà sicuramente rilevante. Sarà un’internet volumetrica, spazializzata, virtualizzata o aumentata a seconda dei casi. Prima trasmissivo-espositiva (internet statica) e poi applicativo-interattiva (internet mobile), ora internet va progressivamente verso una fase locativo-immersiva. Dal continuum cloud-to-thing al continuum reality-virtuality, dai pixel ai voxel, le esperienze digitali si faranno più simulative e saturanti. Non solo human-computer “interaction”, ma human-computer “immersion”. Ma il virtuale non è l’inesistente, piuttosto il potenziale. Ridisegnerà il senso del reale.

Quali sono, a suo avviso, i principali dilemmi etici che pone l’uso dell’AI?

È importante dismettere l’idea che l’AI sia solo un insieme di tecnicalità (di volta in volta stupide o intelligenti). Piuttosto è assemblaggio sociotecnico (algoritmi, umani, processi, poteri) e costruzione sociomorfica (la cd. intelligenza non è mai tale in sé e per sé, ma sempre con e per altri in virtù di antropomorfismi e sociomorfismi). Con potenzialità e vulnerabilità. Ma non si tratta solo di “problemi tecnici”, sono piuttosto “provocazioni intellettuali”. I problemi tecnici si affrontano con soluzioni ingegneristiche (informatiche, legali). Le provocazioni intellettuali richiedono, invece, innovazione culturale. Non solo allora educazione, regolazione, etica. Di più: dovremo fare innovazione culturale

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