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Nucleare, la svolta italiana e i nodi da sciogliere

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Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, lo ha annunciato al Forum Ambrosetti di Cernobbio: il 21 settembre istituzioni e imprese si riuniranno al ministero per inaugurare la ‘Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile‘. Di fatto, una conferma della svolta italiana sul nucleare: piace al Governo e a molte imprese (da Ansaldo a Eni, fino alla giovanissima newcleo), mentre negli ultimi mesi si sono moltiplicate lettere d’intenti e sperimentazioni.

Pichetto Fratin ha detto che bisogna implementare “la conoscenza che abbiamo già nel settore del nucleare”. Ma quanto può essere sostenibile, anche economicamente, il nucleare italiano? Secondo Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del Cnr ed esperto di energia, bisogna innanzitutto capire di che nucleare ci si occuperà in questa piattaforma, e che cosa si intende per nucleare sostenibile. Poi, bisogna mettere in conto tutti i nodi da sciogliere: tempi lunghi (dai 10 ai più probabili 20 anni, dice l’esperto), gestione delle scorie e investimenti ingenti (“nell’ordine dei 200 mld di euro”). La crisi climatica, intanto, non attende soluzioni a lungo termine.

La piattaforma del ministero

Anche il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini al Forum Ambrosetti ha detto di ritenere che “l’Italia debba, entro quest’anno, riavviare la propria partecipazione al nucleare”, e che spera di arrivare alla produzione entro dieci anni.

La “piattaforma” annunciata da Pichetto Fratin sarà “il soggetto di raccordo e coordinamento tra tutti i diversi attori nazionali che a vario titolo si occupano di energia nucleare, sicurezza e radioprotezione, rifiuti radioattivi, sotto tutti i profili”, ha fatto sapere il ministero, che parla dello sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale ed “elevati standard di sicurezza e sostenibilità”.

L’attività della piattaforma sarà coordinata dal Mase con il supporto della società del ministero dell’Economia Rse (Ricerca sul Sistema Energetico) e di Enea. Si cercherà anche di rafforzare il contributo dell’Italia nella ricerca e nell’alta formazione universitaria (corsi di laurea, laurea magistrale e dottorati di ricerca), “implementare la cooperazione e la partecipazione a livello europeo e il coordinamento dei progetti e delle attività a livello nazionale tra Università ed enti di ricerca”, si legge nella nota del ministero guidato da Pichetto Fratin.

Lo stato attuale del nucleare

Secondo Armaroli “al momento ci sono poche idee, tutte non disponibili sul mercato e non presenti in Italia”. I reattori Smr (small modular reactor), come quelli targati newcleo, “commercialmente non ci sono ancora, e cerchiamo di farli da 50 anni. Non esistono standard nel quadro regolatorio, sono tutti da definire. Se quella del ministero è una piattaforma di ricerca, ben venga, ma non è che la ricerca scientifica mondiale stia aspettando il contributo dell’industria italiana. Il nucleare è in mano a Russia, Cina, Stati Uniti e Francia (nella foto in evidenza : si passa necessariamente da lì”.

Il problema delle scorie

“Dobbiamo ancora decidere dove mettere le scorie di ritorno e su questo i governi italiani si rimpallano il problema uno con l’altro. Sarebbe utile che prima si trovasse una soluzione per il deposito nazionale”, ricorda Armaroli.

L’Italia infatti non ha ancora risolto la questione della gestione dei rifiuti radioattivi, come ricordato dalla relazione annuale dell’Isin, l’ispettorato per la sicurezza nucleare, consegnata a fine agosto a governo e Parlamento.

Il percorso che dovrebbe portare a realizzare il deposito nazionale delle scorie radioattive è incerto, secondo l’Isin guidato da Maurizio Pernice, mentre gestire le scorie (che da 32mila metri cubi diventeranno 90mila) negli attuali 22 depositi temporanei è un onere sempre più pesante.

Non è un caso se, dopo il no dei 67 siti individuati dalla Cnapi, la Carta delle aree potenzialmente idonee, Pichetto Fratin abbia annunciato un provvedimento per le autocandidature di località non incluse nella Cnai, cioè il documento, ancora non pubblicato, che seguirà alla Cnapi. Un parere definitivo sulla Cnai è previsto entro settembre, ma anche se “l’avanzato iter del procedimento di approvazione” rappresenta un sostanziale “cambio di orizzonte per la soluzione dei problemi della gestione dei rifiuti radioattivi”, dice l’Isin, “si deve tuttavia riconoscere che permane ancora l’incertezza sui tempi di realizzazione del deposito nazionale e, conseguentemente, su quanto tempo e quali investimenti (a carico della collettività) continueranno a essere necessari per gli interventi di adeguamento delle strutture provvisorie e per la realizzazione di nuovi depositi temporanei”.

Il nucleare serve: i dati Iea

Ma al di là delle sfide da affrontare, Armaroli del Cnr fa un discorso di opportunità, tenuti in considerazione i lunghi tempi di sviluppo dei progetti nucleari. “Dobbiamo ricordarci che prima di 20 anni non avremo un solo kw/h prodotto da nucleare”.

Partiamo dai dati mondiali: secondo gli scenari dell’Iea per il raggiungimento delle emissioni zero, il nucleare dovrà aumentare la propria produzione energetica, raddoppiandola. È necessario, dunque. Ma avrà una quota dell’8% della produzione elettrica mondiale al 2050, una percentuale simile a quella odierna ma superiore in termini assoluti, perché la domanda di elettricità aumenterà.

L’Iea è comunque convinta che il nucleare sia fondamentale: servirà a garantire la stabilità energetica delle reti e a supportare le strategie di decarbonizzazione. Anzi: mentre aumenterà la quota di eolico e fotovoltaico nel mix energetico, aumenterà anche il bisogno di nucleare. Ma la produzione, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, si potrebbe spostare verso le economie non avanzate. Anche se gli Smr potrebbero garantire anche ai Paesi occidentali un modo per investire nel nucleare.

Le difficoltà e i costi del nucleare in Italia

Il punto, dice Armaroli, è che per investire sul nucleare l’Italia dovrebbe ripartire da zero. “Siamo sicuri che fra 20 anni, mentre continua lo sviluppo delle rinnovabili, useremo una reazione nucleare per produrre elettricità? Ho i miei dubbi. Stiamo cercando di rilanciare una tecnologia che non ha avuto fortuna, tranne alcune eccezioni. Partiamo svantaggiati, e non è una tecnologia adatta a un economia di mercato: ha bisogno di un forte intervento statale”.

Secondo Armaroli, per creare il nucleare da zero servirebbe una cifra nell’ordine dei 200 mld di euro: “Ai costi attuali del nucleare in Europa, se vogliamo fare 20 Gw di potenza, servono circa 120-130 mld solo per costruire i reattori. Poi va aggiunta tutta la filiera della ricerca che segue il settore, una ‘nuova Enea’ del nucleare da creare dal nulla e il deposito nazionale, e anche qui sono decine di miliardi. Sarebbe quindi necessario trovare investitori stranieri, in un Paese con il 94% di Comuni a rischio idrogeologico, che quindi rappresentano un rischio per gli investitori, con oltretutto un sistema regolatorio italiano molto lento”.

Sulla carta, dice Armaroli, il nucleare ha molti vantaggi: produce elettricità a emissioni zero occupando un’area relativamente piccola. “Ma per farlo bisogna creare dal nulla una filiera, e capire chi la finanzia”.

Secondo Armaroli anche la realizzabilità dei piccoli reattori al piombo va verificata, come quelli di newcleo che utilizzano combustibile riciclato. “Vorrei capire quanto c’è di concreto, se è vero che l’Italia possa utilizzare impianti sparsi per tutto il territorio nazionale”.

Effettivamente, lo scenario dell’Iea per il 2050 prevede riduzioni di emissioni da conseguire con tecnologie nucleari che non sono ancora commercialmente attive. Questo include gli Smr, reattori con una capacità inferiore a 300 megawatt, un terzo di un impianto tradizionale. Ma secondo l’agenzia il costo inferiore, le dimensioni e i rischi ridotti possono migliorare il recepimento da parte dei territori interessati, oltre ad attrarre investimenti.

Newcleo, un’azienda italiana per il nucleare francese

Naturalmente, tra le problematiche ci sono i tempi, e il fatto che rispondere all’emergenza climatica richieda risposte immediate. “I traguardi sul nucleare non arriverebbero prima di 20 anni”, ripete Armaroli. “Ma la crisi è talmente drammatica che non c’è tempo da perdere (né risorse) per dire ‘proviamo anche questa cosa’. Ho bisogno di kWh decarbonizzati oggi, non domani. Sicuramente non fra 20 anni: se per allora non avremo già risolto il problema, la crisi climatica ci travolgerà. E al momento il nucleare è la soluzione più incerta, più costosa e meno socialmente accettabile. Non ne faccio una battaglia ideologica. Vogliamo andare avanti sulla ricerca? Ok, ma bisogna andare avanti sul resto. Bisogna risolvere il problema dell’installazione delle rinnovabili, ancora oggi dobbiamo aspettare 6 mesi per installare un impianto fotovoltaico: servirebbe uno sblocco burocratico. Oltre, naturalmente, a un coordinamento europeo su pannelli e batterie, per non appaltare tutta la produzione ad altre nazioni. Le rinnovabili sono manifatturiero, conoscenza e ricerca. Li abbiamo tutti. Iniziamo da qui”.

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