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Nobel a Narges Mohammadi: la risposta che ci voleva

Narges Mohammadi, l’attivista e giornalista iraniana – imprigionata dal 2016 nel carcere di Evin – è stata insignita  del Nobel per la Pace 2023. L’Accademia svedese ha  premiato la cinquantunenne Mohammadi, vicepresidente del centro per la difesa dei Diritti Umani, arrestata 13 volte, condannata cinque volte e che deve scontare  un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate. È un riconoscimento che segna una netta vittoria per i diritti umani e delle donne, che in Iran vivono una condizione di oppressione che si è acuita dal settembre 2022. Ed è una notizia che scuote sicuramente il regime iraniano, secondo quanto ci racconta Pegah Moshir Pour, italo iraniana attivista per i diritti umani e digitali, che abbiamo intervistato per approfondire il valore di questo Premio, che si estende alle donne iraniane vittime del regime.

 Che valore ha questo premio per il popolo dell’Iran?

Il Nobel a Narges Mohammadi è la risposta che ci voleva, dopo il silenzio mediatico degli ultimi mesi. E gli eventi recenti dimostrano che non è cambiato nulla dal 16 settembre 2022, data che ha segnato l’inizio della rivolta scatenata dalla morte di Mahsa Amini. Oggi, ad un’anno di distanza, il regime iraniano sta cercando di non dare evidenza alla vicenda di Armita Geravand, la sedicenne in coma, ferita  per essere salita in metropolitana col capo scoperto, senza velo.  Anche la sua mamma è stata arrestata, dopo essere stata costretta a partecipare a diverse trasmissioni sulla Tv pubblica iraniana, per raccontare che la figlia era caduta accidentalmente. Questo ha portato però all’indignazione del popolo iraniano, che è cosciente delle pressioni e delle minacce che la donna può aver ricevuto. Si stava alzando un polverone e il regime ha reagito decidendo di arrestarla, per non alimentare ancora la rivoluzione attraverso la disobbedienza civile, ma la verità è che in Iran si continuano a uccidere le ragazze che non mettono il velo.

Narges Mohammadi – EPA/ARIFOTO UG

Cosa accadrà adesso?

Bisogna ora capire se verrà consentito a Mohammadi di uscire di prigione per ritirare il Nobel,  cosa che probabilmente non avverrà, uno strappo che andrà ad aggiungersi all’infinita serie di azioni di repressione quotidiana da parte del Regime. Che reagirà, perché questa è un’ennesima vetrina di vergogna: quello che fa da sempre è banalizzare anche questi riconoscimenti. La narrazione del Regime è quella della propaganda, che punta a dimostrare che questi riconoscimenti sono pericolosi perché sono stranieri, si gioca molto sull’ideologia dello straniero che è un nemico.

Lei ha più volte invocato una risposta concreta, da parte degli Stati occidentali, rispetto alle repressioni in atto in Iran, e come lei gli Iraniani espatriati, penso anche al marito della Mohammadi, che vive in Francia con i loro due figli.  Cosa ci si aspetta che accada?

Gli Stati occidentali dovrebbero chiedere all’Iran di rendere conto di questa condizione di repressione delle donne. Bisogna responsabilizzare l’Iran rispetto alle azioni perpetrate dal regime. Mi riferisco al fatto sarà proprio l’Iran a presiedere il Social Forum 2023 del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, il prossimo 2-3 novembre.  Ali Bahreini, ambasciatore della Repubblica islamica e rappresentante permanente presso le Nazioni Unite, presiederà il Forum 2023 dell’Unhrc, sulla tematica della scienza, tecnologia e comunicazione. Ed è abbastanza sconcertante che proprio il Paese che quotidianamente si macchia di crimini e oppressioni nei confronti delle minoranze e delle donne, possa aver ottenuto la presidenza di un evento sui diritti umani delle Nazioni Unite.  Proprio quel Regime che il Centro iraniano per i diritti umani (Chri) ha condannato per la nuova proposta di legge che prevede di negare i servizi essenziali alle donne che non indossano lo Hjiab, un pericolo concreto di ‘apartheid di genere’.
E invece di bloccare l’ascesa internazionale del Paese, sembra ci sia una spinta continua: ad agosto è stato annunciato che l’Iran entrerà a far parte dei paesi Brics a partire dal Gennaio 2024. Questo renderà il Paese ancora più forte. Bisognerebbe invece fare un passo indietro, e chiederci con chi stiamo negoziando. I Paesi occidentali dovrebbero calcare la mano e chiedere che l’Iran non aumenti la repressione palese, visibile, nei confronti delle donne e delle ragazze iraniane.

Pegah Moshir Pour – Attivista per i diritti umani e digitali

Ma c’è un modo per sostenere la protesta delle donne iraniane, anche a distanza?

I social network sono lo strumento da utilizzare, possiamo seguire gli hastag #donnavitalibertà in tutte le lingue, o #iranprotest, sono hashtag che si utilizzano per condividere contenuti relativi alla rivolta in Iran. Gli iraniani stessi raccontano, come giornalisti sul campo, ed è importante dare rilievo alle testimonianze che mandano, pur con grande difficoltà. La notizia di questo Nobel ha portato nuova fiducia e tanta gioia al popolo iraniano, che vuole che il mondo parli dell’Iran e di quello che sta accadendo, è la prova che tutto il sacrificio fatto non è stato vano, è una cosa importante, dall’altra parte però ci si chiede che lo Stato smetta con le repressioni.

Quando si parla del Regime iraniano, di cosa si parla concretamente?

Non si tratta neanche più di un regime religioso, assolutamente no, la religione non prevede tutta questa violenza, né l’obbligo del velo per le donne, quella è una libera scelta come è stata sempre in Iran. Ora invece viene applicato un modello patriarcale, misogino e maschilista che vuole sottomettere le donne iraniane che da 44 anni  vivono questa repressione,  che si fa sempre più acuta, e per questo è importante continuare a parlarne, aiutare queste donne e uomini che sono uniti nella protesta. E’ l’altro aspetto vincente della rivoluzione iraniana: è una battaglia collettiva, di tutti e per tutti, e che sperano che si possa presto arrivare ad una giusta soluzione.

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