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Le masterclass Sda Bocconi: lavoro e smart working, un dibattito ottocentesco

SDA BOCCONI LAVORO DIALOGHI HR
Gilead

“Il punto non è in quali giorni stare a casa, ma riprogettare il lavoro per cui abbia un senso stare un paio di giorni a casa”. La frase è di Rossella Cappetta, Associate dean for open programs di Sda Bocconi, ed è forse il modo migliore per sintetizzare quanto la progettazione dei lavori odierni si trovi ad affrontare una corsa a ostacoli fatta di anglicismi post-pandemici e conflitti tra generazioni diverse. Il risultato? Il ritorno della discussione a un livello “ottocentesco”, ha detto la professoressa durante una delle tre masterclass dell’evento Dialoghi Hr di Sda Bocconi dedicate al mondo del lavoro e ai manager delle risorse umane.

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Obiettivo della discussione: trovare un sentiero da seguire verso la definizione di un lavoro bello, felice e sensato, secondo il titolo della masterclass seguita da molti rappresentanti delle risorse umane di varie aziende.

L’ostacolo da rimuovere? Le narrazioni negative, utili solo a creare il conflitto apparentemente nuovo di cui la Gen Z si è fatta portavoce sui social: quello tra capi e dipendenti. Un modo di raccontare l’ufficio che spesso è inedito solo per il mezzo utilizzato.

In realtà, secondo Cappetti (nella foto in evidenza con, da sinistra, Maurizio Del Conte e Daniele Rielli), il conflitto sta tornando a quello “ottocentesco” tra capitale e lavoro, come se tante battaglie sui diritti sul posto di lavoro non fossero già state combattute.

La base di tutto: le narrazioni ascientifiche

Per far capire bene quanto sia profondo il problema, Cappetti ha invitato tra i relatori della masterclass Daniele Rielli, scrittore il cui ultimo libro, ‘Il fuoco invisibile’ (Rizzoli), racconta l’epidemia di Xylella che ha distrutto le sterminate coltivazioni di ulivo del Salento.

Un fuoco (invisibile appunto) che ha seccato milioni di alberi e che ha avuto, come la pandemia di Covid, la sua quota di negazionisti.

Non parliamo di mondo del lavoro, quindi, ma di come una narrazione ascientifica possa avere conseguenze gravi. Come l’opposizione di molti ai tagli delle piante, nonostante per affrontare la Xylella sia necessaria una strategia di contenimento molto severa, che le teorie del complotto rendono meno efficace.

Quella diffusione delle teorie del complotto – come l’interesse di grandi Gruppi industriali per i terreni occupati dagli alberi, racconta Rielli – porta a opposizioni e polarizzazioni che ricordano quelle che si ritrovano nel mondo del lavoro.

Lavoro, generazioni non così diverse

Tra aspiranti nomadi digitali e severi capi-ufficio, sono le narrazioni più semplicistiche a rendere del tutto infruttuosi i dialoghi tra capo e dipendenti, che, considerato il fattore anagrafico, sono spesso anche un confronto tra generazioni diverse, che cercano nel lavoro cose diverse, ma non troppo.

Gli studi inter-generazionali sulle preferenze relative agi attributi occupazionali mostrano che tendenzialmente giovani e anziani vogliono le stesse cose: secondo uno studio firmato da Raymond Pasko e dai ricercatori dell’università di Dallas che risale al 2020, citato da Cappetta, la sicurezza lavorativa è la priorità numero uno tanto dei millenial quanto dei baby boomer.

Pasko et al.

Anche dopo la pandemia, i soldi sono sempre al primo posto tra le priorità dei lavoratori di ogni età. Secondo uno studio della Fondazione studi consulenti del lavoro il miglioramento retributivo è considerato un aspetto irrinunciabile dal 52% delle persone alla ricerca di un nuovo lavoro. Ma al secondo posto, menzionato dal 49% degli intervistati, c’è un migliore equilibrio psicofisico e minor stress.

La comunicazione orizzontale

Un’altra dimostrazione di come anche la narrazione che ultimamente sembra associare i giovani con l’incombente esigenza di lavorare da remoto sia, in fin dei conti, un’esagerazione. Sul tema del lavoro, queste narrazioni ascientifiche si trasformano in approssimazioni, poco rigorose e negative (dalle great resignation al quiet quitting) e contribuiscono alla diffusione dell’idea che le persone e i giovani in particolare siano solo alla ricerca di lavori flessibili, desiderosi di trasferirsi tutti in borghi sperduti ad accudire il proprio panetto di “lievito madre”, dice ridendo Cappetta. Ma il lavoro ha ancora un ruolo centrale anche per i millennial e la Gen Z.

Con le narrazioni antagoniste e ascientifiche divenute prevalenti e la diffusione dei social per esprimerle, “la comunicazione è diventata orizzontale”, dice Rielli. “Tutti noi, non solo i media, raccontiamo la realtà” e ognuno lo fa a modo suo. Il rischio è “avere tante persone che vivono in bolle separate che non comunicano tra di loro. La libertà di espressione si sta riducendo proprio per l’aumento dello scontro nell’opinione pubblica. E questo può essere pericoloso”. Soprattutto nel caso di un argomento di cui si parla “tanto e malissimo”, dice Cappetta.

Ha allora ancora più senso costruire un lavoro che sia bello e produttivo. Un lavoro che, secondo la masterclass, può contribuire alla crescita delle persone, rispondere ai loro bisogni sociali e dar loro sicurezza economica.

Lavoro, narrazioni e politica

Anche secondo Maurizio Del Conte il focus dalle narrazioni dominanti sul lavoro si sposta a un lavoro più gradevole e produttivo eliminando e superando l’antitesi tra “lavoro e vita”, generata anche dal dibattito tra sostenitori e detrattori dello smart working.

 

Del Conte, Full professor corporate and labour law, è stato anche presidente Anpal dal 2016 al 2019, e consigliere giuridico dei governi Renzi e Gentiloni. Non è un caso se, durante la masterclass, ha scelto di parlare di Jobs Act. Il tema delle norme che riguardano il mondo del lavoro, affrontato da Del Conte, richiama la riforma italiana sul lavoro voluta da Matteo Renzi. E anche in questo caso le narrazioni negative e ascientifiche hanno avuto un ruolo, racconta. “Il Jobs act consiste di otto decreti legislativi, centinaia di norme, mesi di lavoro e anni di studio alle spalle, ed errori a non finire nello scrivere queste norme. Ma non si può ridurre tutto a una raccolta di firme per abolirlo. È sempre facile avere un approccio distruttivo”.

La trappola delle tribù

Posto che servino nuovi modi di organizzare il lavoro che tengano conto della persona nel suo complesso e anche delle esigenze delle nuove generazioni quando si affacciano in una nuova occupazione, il peso della polarizzazione delle opinioni ha un peso anche quando sul dibattito politico e legislativo sul tema, racconta il professore.

“È più facili dirsi di una tribù che spiegarsi: è più facile collocarsi in un gruppo che è quasi autoesplicativo, che spaccare il problema, farcene carico e affrontare la complessità. In questa narrazione di oggi non mediata non si fa analisi, si cerca una soluzione semplice e immediata che dia risposte con la sua semplicità a domande complesse. Una società chiusa e a compartimenti stagni ti deresponsabilizza moltissimo”.

Secondo il professore anche la sentenza della Cassazione sul salario minimo in realtà è stata interpretata male: “Dice che il legislatore per qualsiasi legge deve rispettare i principi costituzionali della proporzionalità della retribuzione. Ma questa lettura non è passata: ha rafforzato anzi la polarizzazione delle narrazioni” sul salario minimo e sulla retribuzione dei lavoratori. “Se la risposta a una sentenza è ‘ci vuole una legge sul salario minimo’ vuol dire che si spaccano i concetti, si raccolgono le parole – salario minimo, legge, lavoro – e si costruisce una finta narrazione che serve di fatto a rinviare la risoluzione dei problemi”.

L’equilibro da trovare

La narrazione sui nomadi digitali appassionati di lievito madre non è l’unica a raccontare l’estremizzazione del dibattito. Dall’altra parte c’è quella “profondamente reazionaria che ci autoassolve dal trovare strumenti gestionali delle riforme del lavoro che ci lascino con occupazioni produttive e belle”, dice Cappetta.

“Dobbiamo progettare lavori che siano belli, non solo dignitosi. Ma è evidente che non si può progettare un lavoro che non sia produttivo.

Il concetto di bellezza, di felicità sul luogo di lavoro, è centrale, quindi. Ma “non si può garantire solo valore sociale senza valore economico”. La sfida è trovare un equilibrio tra produttività e felicità. Tra un video di TikTok e la cancellazione, senza appelli, della flessibilità lavorativa.

Ecco allora a cosa serve il dialogo, e perché i responsabili delle risorse umane lo devono tenere bene a mente. “Senza confronto non c’è crescita”, ha detto il Dean della Sda Bocconi, Stefano Caselli, introducendo le tre masterclass. E “costruire legami tra generazioni è un tema che si affronta in tutte le organizzazioni”.

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