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Xi Jinping e Joe Biden, la strana coppia di nemici-amici obbligati a cooperare e dialogare

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È arrivato. Il momento tanto atteso è ordunque giunto. “Il mondo è grande abbastanza per il successo di entrambi”. Una frase che esemplifica al meglio l’incontro tra i due sovrani del mondo, i leader che del pianeta ne tengono in mano le sorti: il Presidente del Dragone cinese, Xi Jinping e il Presidente americano, Joe Biden. Da tempo eravamo tutti in febbricitante attesa. Quando i due genitori si riuniscono, il mondo fuori resta a guardarli.

Incontratisi a margine dell’APEC (Asian-Pacific Economic Cooperation), tenutosi a San Francisco, è stato tenuto nascosto fino all’ultimo il luogo dell’incontro. Si è scoperto poi essere una meravigliosa residenza in stile vittoriano, che ha fatto da cornice a numerosi set cinematografici hollywoodiani, quella di Filoli, a 40 Km da San Francisco, mezza l’una fertile delle più grandi aziende tech americane che tanti affari stringono con la Cina di Xi.

In poche parole, l’incontro è andato. Bene. Le differenze permangono, questo è inevitabile. Tuttavia, la comunicazione si è ravvivata. L’ultimo incontro risale al G20 di Bali, in seguito la vicenda dei palloni spia cinesi intercettati dai servizi segreti americani. E poi, l’amicizia “senza limiti” con Putin, le esercitazioni sempre più frequenti intorno allo stretto di Taiwan, la guerra economico-commerciale e tecnologica, il supporto all’Iran, il Corridoio India-Medio Oriente-Israele-Europa contrapposto alla Belt and Road Initiative cinese. Mai le relazioni bilaterali avevano raggiunto un livello così basso.

Non è forse ineluttabile la famosa “trappola di Tucidide” secondo la quale la potenza emergente si scontrerà inevitabilmente un giorno con quella fino ad ora dominante, come un tempo tra Sparta e Atene? Chissà… In questo mondo infiammato, costellato di conflitti regionali e non, l’economia può essere forse una soluzione. Il profitto economico impone una cooperazione tra USA e Cina, o meglio, quella che gli americani definiscono copetition (competition, competere ma al contempo cooperation, cooperare). Ecco, Pechino e Washington tentano di impostare le loro relazioni in siffatto modo.

Diversi i punti sul tavolo, numerosi i non-detti. Il successo più grande: l’intesa sul clima. Stati Uniti e Cina, i più grandi emettitori al mondo, hanno avviato una cooperazione sul gas, la fonte di più largo utilizzo in Cina a sostituzione del Carbone. Ma soprattutto, si impegnano di comune accordo a triplicare la produzione da energie rinnovabili entro il 2030. Ciononostante, non si è fatto cenno alcuno ad uno stop definitivo agli idrocarburi, né tanto meno alla fine dell’uso del Carbone da parte di Pechino. Il Dragone ha comunque confermato che raggiungerà il picco massimo di utilizzo nel 2030 per poi calare drasticamente. Eppure, un primo segnale c’è.

I due attori protagonisti di questo straordinario palcoscenico mondiale sono pronti ad affrontare, mano nella mano, una delle sfide più impellenti del nostro tempo: i cambiamenti climatici. Forse perché le loro economie ne uscirebbero a dir poco distrutte. La Cina, per di più, detiene il monopolio nella produzione delle rinnovabili, dai pannelli solari agli impianti eolici, controllando e gestendo una filiera che vale miliardi di dollari. Nel farlo per tempo è stata lungimirante, niente da dire.

Un altro successo: il controllo all’esportazione dalla Cina di sostanza per produrre Fentanyl. Perché un oppioide inserito nell’agenda, a dir poco piena, dell’incontro tra i dei due leader più importanti del pianeta? Poiché solo lo scorso anno negli Stati Uniti 70.000 persone, di età compresa tra i 18 e i 45 anni, sono morte a causa di questa epidemia (sono stati stimati 180 morti al giorno).

Una droga, potentissima, ancor più dell’eroina, facile da trovare, semplice da assumere, con un effetto travolgente. Una droga che ha messo in ginocchio un’intera nazione, ma soprattutto una città. Esattamente la stessa città che fa da sfondo a questo incontro tanto atteso: San Francisco. La città più progressista degli Stati Uniti, talmente progressista che alcune catene di distribuzione alimentare hanno chiuso i battenti per la quantità di furti che devono sopportare e che, per di più, rimangano largamente impuniti per una spinta eccessivamente liberal delle autorità locali.

La capitale della Silicon Valley, in cui il reddito medio per poter vivere dignitosamente non scende sotto i 100.000 dollari all’anno, è colpita da una dipendenza da Fentanyl pervasiva. Morti per strada, adolescenti perduti. È un’epidemia a tutti gli effetti e il Presidente Xi si è impegnato a controllare l’export dei precursori chimici che la compongono, esportati dalla Cina in Sud-America e trasportati negli States dai cartelli della droga messicani.

Uno dei più grandi sequestri di Fentanyl nella storia di New York: con più di 50 libbre di droga, tra cui 200.000 sospette pillole di Fentanyl.

Ma tornando a questa giornata particolare, di distensione, di disgelo, è stata ristabilita anche la comunicazione militare tra autorità americane e cinesi. Quel telefono rosso ha ripreso a suonare per evitare che incidenti di percorso portino a delle tensioni sempre più intense. La hotline, così come viene chiamata dagli esperti, è stata ricostituita. Troppo pericoloso, estremamente avventato. Le due potenze economiche e militari del pianeta non possono non comunicare, coordinarsi, cooperare. Una comunicazione che era stata interrotta da parte di Pechino dopo la visita di Nancy Pelosi sull’isola di Taiwan nell’estate 2022.

Nancy Pelosi
L’allora Presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi, insieme alla delegazione del Congresso che si è recata a Taiwan ad agosto 2022.

Ed eccoci qua. Siamo arrivati al nodo centrale. Alla madre di tutte le questioni: quella taiwanese. Che fare? Soprattutto in vista delle elezioni che sull’Isola di Formosa si terranno a inizio gennaio. Biden, vecchia volpe, ha presto confermato che l’approccio americano seguirà la “One China policy”, in poche parole indipendenza de facto del governo taiwanese ma non de iure. Formalmente Taiwan rimane cinese. Eppure, sotto banco, gli americani la riforniscono di armi e preparazione militare in vista di un’invasione cinese che molti generali americani pronosticavano nel 2027.

Tuttavia, le intenzioni di Xi appaiono diverse. Sembrerebbe che il Presidente intenda conquistare l’isola gradualmente, attraverso leve politiche più che con una vera e propria escalation militare. Un approccio più morbido, dimostrato dal recente accordo che i due partiti di opposizione taiwanesi, più inclini ad un riavvicinamento con Pechino, hanno ora raggiunto.

Presenteranno un candidato comune. Si coalizzeranno per sconfiggere il partito oggi al governo, il PPE, il favorito, che ha sempre messo al primo posto l’indipendenza senza se e senza ma dell’Isola di Formosa. Insomma con un partito filo-cinese dovremo aspettarci larghe ingerenze da parte di Pechino nella vita politica taiwanese, sulla falsariga di ciò che è successo a Macao e, speriamo di no, Hong Kong.

La presidente taiwanese Tsai Ing-wen durante le celebrazioni della Giornata nazionale di Taiwan a Taipei, Taiwan, 10 ottobre 2023.

Dall’altra parte Xi ha richiesto al Presidente Biden un allentamento delle restrittive politiche commerciali. I dazi, il controllo all’export dei chips di ultima generazione. Quei chip tanto essenziali per lo sviluppo dell’AI, delle armi di precisione, della sensoristica. Una politica anti-cinese inaugurata sotto la presidenza Trump ma protratta anche sotto il suo predecessore per arrestare, in qualsivoglia modo, lo sviluppo tecnologico cinese, sebbene anche Pechino abbia portato avanti una competizione alquanto sleale, obbligando molte delle aziende a condividere i loro segreti commerciali, con divieti di uscita dal paese e talvolta soggette a leggi anti-spionaggio. Un’ingerenza dunque notevole del governo cinese negli affari societari.

Un do ut des continuo tra i due paesi che ancora nel 2022 hanno raggiunto i 760 miliardi di dollari di scambi commerciali.  E i due leader riconoscono le rispettive problematiche interne. La Cina non cresce più come una volta. Lo scoppio della bolla immobiliare ed il fenomeno deflattivo diffuso ne hanno rallentato i consumi e il PIL cinese staziona sotto un “misero” +5% di crescita – ad avercelo noi in Italia!

Xi teme che a causa delle sue stesse politiche restrittive alla libertà imprenditoriale, molte delle aziende che hanno fatto grandi sia gli Stati Uniti che la Cina siano spinte ora a diversificare la loro produzione in altri paesi. Il suo incubo peggiore: l’India, che si presenta al mondo come un’alternativa alla Cina, più stabile, democratica, meno aggressiva. Biden, dall’altra parte, ha bisogno di accreditarsi all’opinione pubblica americana che deve rieleggerlo, nonostante l’età e nonostante da un sondaggio la maggior parte degli americani dichiari di stare peggio di prima sotto la sua presidenza.

Ed ecco il perché la sera stessa dell’incontro tra i due grandi del mondo, a pochi passi da San Francisco, attorno al capo del Regno di Mezzo si è riunito a cena il gotha del mondo tecnologico americano. 2000 dollari per parteciparvi, 40.000 dollari per sedersi al tavolo del leader cinese, e magari tra una portata e l’altra, proporgli un accordo. “Siamo partner o avversari? – ha esordito Xi – La Cina è un buon mercato per investire. Sono convinto che una volta aperta, la porta delle relazioni non potrà essere chiusa. La tendenza storica alla coesistenza pacifica tra Cina e Stati Uniti non cambierà”.

Il Presidente cinese si è così prodigato in rassicurazione di fronte ai Ceo di Apple, Google, Microsoft, Tesla, Citigroup, Exxon Mobile, e chi ne ha più ne metta, affinché continuino ad investire in Cina, affinché non cerchino altre alternative, scoraggiandoli dal diversificare le loro produzioni. Pechino ha bisogno di questi investimenti. Il celeste impero cinese, dopotutto, è ancora la fabbrica del mondo, e questi facoltosi uomini d’affari a capo delle più grandi tech company del pianeta lo sanno bene. Si pensi solo come l’hub produttivo di Shanghai abbia sfornato nel 2022 più di 710 mila Tesla. Musk ha a cuore la causa cinese.

Il presidente cinese Xi Jinping tiene un discorso alla cena di benvenuto delle organizzazioni amiche degli Stati Uniti, a San Francisco.

E dunque, tirando un po’ le somme di questa giornata particolare, Cina e Stati Uniti hanno bisogno l’una dell’altro. Le loro interdipendenti economie impongono un’attenta collaborazione. Washington possiede le capacità per progettare le tecnologie più avanzate al mondo, la Cina detiene il monopolio delle terre rare, dei minerali che possano poi produrle.

Legate a doppio filo, i due leader delle superpotenze sembrano aver dunque ricominciato a dialogare. Andava tutto bene quando… “Xi Jinping è un dittatore, nel senso che è un leader di un partito comunista, di un paese con una forma di governo molto diversa dalla nostra”, le parole di Joe Biden a margine della conferenza stampa cadono dal cielo come un’accetta. Taglienti. Mai tempismo fu così perfetto. Anche se taluni ne hanno lodato la schiettezza. Sta di fatto che Cina e Stati Uniti sono portatori di due visioni del mondo totalmente agli antipodi, la questione ora è accettare le differenze, senza interferire.

Il Presidente Joe Biden mostra al Presidente cinese Xi Jinping il suo telefono, sul quale c’è una foto che Xi scattò nel 1985 a San Francisco, alle spalle il Golden Gate.

Pechino seguiterà con il suo piano per abbattere, pezzo dopo pezzo, l’ordine mondiale a trazione statunitense uscito dalla seconda guerra mondiale. Washington, da parte sua, cercherà di contenere il più possibile il gigante asiatico attraverso la deterrenza e le alleanze strategiche. Ma già il fatto che i due leader abbiano riattivato il canale delle comunicazioni, questo è un successo. A sottolineare come anche il rapporto umano, l’empatia tra i capi di Stato è essenziale nelle relazioni internazionali. Può far la differenza. In un mondo che va in frantumi, i due grandi della terra devono dare il buon esempio. Il mondo è grande abbastanza per entrambi. E noi altri?

Questa è una foto scattata dal Presidente cinese Xi Jinping nel 1985 a San Francisco con alle spalle il famoso Golden Gate.

 

 

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