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Bruno Rovelli (Blackrock), il contesto attuale dei mercati e le prospettive a lungo termine

Una delle società d’investimento più famose al mondo che opera a livello globale e vanta clienti in oltre 100 Stati. BlackRock in Italia è presente dal 2000 e si attesta come uno dei principali gestori esteri nel nostro Paese. Il contesto attuale per i mercati finanziari è pieno di incognite, tuttavia – ci spiega Bruno Rovelli, Chief investment strategist per la società statunitense (nella foto in evidenza) – “se uno allarga un attimo lo scenario temporale, oggi può vedere delle opportunità. Ad esempio i tassi di interesse, soprattutto in Europa, sembrano essere troppo alti rispetto a quelli che l’economia europea è in grado di sostenere per i prossimi dieci anni. Quindi possiamo vedere valore nelle obbligazioni governative europee che, secondo noi, sono abbastanza attraenti soprattutto se uno ha un orizzonte pluriennale. Lo stesso possiamo dire per le obbligazioni di diversi paesi emergenti. Riscontriamo valore anche in alcune componenti del mercato azionario e negli investimenti in settori legati all’intelligenza artificiale come la tecnologia, la farmaceutica e in tutto ciò che è legato all’energia e alla transizione energetica”.

Come è cambiato lo scenario degli investimenti a causa del conflitto tra Israele e Palestina?

Dal punto di vista strategico lo inquadrerei come rappresentativo della frammentazione geopolitica globale che sta caratterizzando gli ultimi anni. Non vi è dubbio, infatti, che è in atto una competizione strategica tra un blocco occidentale e un blocco concentrato attorno a Pechino. Questo assetto ha delle conseguenze a nostro avviso abbastanza importanti da un punto di vista economico. La frammentazione geopolitica porta, infatti, con sé una maggiore attenzione da parte delle imprese – sia per via di decisioni interne sia perché esiste una pressione da parte dei Governi – nel gestire le catene produttive, prediligendo un approccio più attento alla sicurezza e alla resilienza rispetto ad uno concentrato sull’efficienza. E questa è una novità fondamentale se pensiamo a come si è strutturato il mondo negli ultimi 25 anni. Ad oggi ci troviamo in un mondo sostanzialmente diverso e, anche se la priorità delle aziende rimane quella di massimizzare i profitti, questa capacità è in prospettiva più limitata.

E come impatta questa frammentazione sui mercati?

Chiaramente i mercati sono influenzati da una pluralità di fattori. A livello generale possiamo dire che tipicamente i conflitti tendono a innalzare l’inflazione, mentre hanno un effetto ambiguo sulla crescita economica. La ricaduta sui mercati dipende dunque dalla magnitudine degli impatti su crescita ed inflazione e dalla reazione delle banche centrali. Quello che si osserva è che, nel passato, conflitti geograficamente limitati hanno prodotto degli impatti che sono stati tendenzialmente di breve periodo. Chiaramente conflitti su larga scala hanno impatti significativi, pensiamo ad esempio all’azzeramento del mercato azionario tedesco alla fine della Seconda guerra mondiale. Se il conflitto rimane limitato come è successo per la guerra tra Russia e Ucraina – nel senso che va avanti da diverso tempo ma continua ad essere geograficamente circoscritta – gli impatti tenderanno a riassorbirsi nel corso del tempo. In linea generale quando pensiamo agli effetti di un conflitto dobbiamo chiederci quali sono i canali di trasmissione. E solitamente questi sono due: contagio di tipo finanziario e/o uno di tipo economico. Nel caso più recente, un allargamento alle zone circostanti potrebbe incidere in modo più significativo sulla fornitura di petrolio ai Paesi occidentali e ciò aprirebbe un chiaro canale di contagio economico con conseguenze globali avverse significative.

Lo scenario macroeconomico globale ha un’enorme varietà di fattori che lo influenzano, tra cui Cina e Stati Uniti. Cosa sta succedendo?

Beh, ovviamente sono entrambi molto importanti perché parliamo dei due giganti economici globali. Il motivo della loro contrapposizione è legato sostanzialmente alla supremazia tecnologica che, nel lungo periodo, è quella che permette di far crescere la produttività. Se guardiamo indietro, soprattutto agli ultimi dieci anni, vediamo infatti come lo sviluppo economico cinese abbia progressivamente coperto aree sempre più strategiche per quello dei Paesi occidentali. Questo ha generato tensioni geopolitiche importanti perché Pechino è passata da essere un produttore a basso costo e a basso contenuto tecnologico, ad uno di merci tecnologiche di medio se non addirittura alto valore. Ora questo tema deve far riflettere soprattutto sulla crescita futura. Non c’è dubbio, infatti, che viviamo in un’epoca in cui la tecnologia è cruciale per  la crescita economica. Nel lungo periodo i due fattori cruciali per la crescita sono la demografia, che influenza il numero di lavoratori che un’economia può impiegare, e la produttività, che misura l’efficienza nell’utilizzo del capitale e del lavoro. E la produttività è collegata principalmente proprio all’innovazione e, come vediamo, quest’ultima in larga parte allo sviluppo tecnologico.

È più probabile una recessione oppure una ripartenza dell’economia mondiale?

Dunque, la ripartenza è molto difficile perché tendenzialmente la nostra impressione è che l’inflazione sia destinata a rimanere più alta che nel periodo antecedente al Covid e questo implica politiche monetarie delle banche centrali mediamente più restrittive di quanto abbiamo osservato negli ultimi 15 anni. Ma non credo lo diventeranno ancora di più. La nostra idea è che, a tutti gli effetti, si sia raggiunto la fine del ciclo di restringimento monetario.

C’è una differenza però con il passato. Prima quando si arrivava a dei livelli così restrittivi dei tassi di interesse, dopo poco tempo cominciava un ciclo molto repentino di taglio di questi ultimi da parte delle banche centrali. Ad oggi invece la volontà sembra essere quella di voler mantenere i tassi di interesse alti per un periodo di tempo più lungo con l’intento di contrastare alcune delle pressioni al rialzo sull’inflazione, che in parte sono una conseguenza dell’aggiustamento del mondo post-pandemico che ancora oggi persiste e che dall’altra riflettono alcune delle tendenze più di lungo periodo che ho descritto prima.

Allo stesso tempo ci aspettiamo politiche fiscali mediamente un po’ più restrittive. Nell’Eurozona – perché tornerà qualcosa di simile al Patto di stabilità e crescita nel prossimo anno – e negli Stati Uniti – perché i livelli attuali di deficit sono chiaramente insostenibili nel lungo periodo. E tali condizioni non sono particolarmente favorevoli per far accelerare la crescita. Per questo credo che globalmente una continuazione della quasi stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi 12-18 mesi sia più probabile che non un’accelerazione della crescita.

Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi dell’intelligenza artificiale e che cosa dobbiamo aspettarci nel futuro?

Nella finanza e nel mondo degli investimenti il tema dell’intelligenza artificiale, e in generale dell’uso di algoritmi per migliorare le scelte di investimento, non è una cosa nuova; tuttavia, quando pensiamo all’AI dobbiamo pensare più in grande, ai suoi sviluppi all’interno delle catene produttive. E qui le premesse sono che una serie di attività economiche, anche quelle con contenuto intellettuale ma relativamente ripetitivo, potranno essere sostituite. Ora, quanto tempo ci vorrà perché questo accada dipenderà dalla rapidità di adozione di questa tecnologia da parte delle aziende. Per beneficiarne bisognerà modificare i processi produttivi interni e dunque prima di tutto chiedersi in quali parti di essi l’AI aggiungerebbe valore. E le risposte si avranno nel giro di anni. Per capire quali saranno gli effetti poi dobbiamo guardare all’impatto netto che questa darà a beneficio dell’attività economica complessiva. L’AI tende ad aumentare la produttività, come tutti gli strumenti legati ai miglioramenti tecnologici, e potrebbe ridurre alcune componenti dell’occupazione. Su questo ultimo aspetto dobbiamo riflettere anche su un mondo in cui la forza lavoro dei Paesi industrializzati è destinata a contrarsi nel corso dei prossimi 15 anni. Quindi l’adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe compensare gli effetti negativi derivanti dall’invecchiamento della popolazione e dalla conseguente riduzione della forza lavoro, apportando, nel complesso, un impatto benefico su crescita e inflazione.

 

 

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