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SoftBank ha salvato WeWork. Cacciando il fondatore

Adam Neumann WeWork SoftBank

Da 47 mld di dollari a neanche 8. Da ‘quasi unicorno’ del mercato americano (e rivoluzionario strumento di smart working) a gigante malato.I termini del piano di salvataggio da 9,5 miliardi di dollari di WeWork da parte di SoftBank riassumono perfettamente il paradosso attraversato negli ultimi mesi dal colosso del co-working e degli uffici condivisi.

Innanzitutto bisogna ricordare che WeWork è stato in grado di raccogliere capitali sulla base di una valutazione di 47 miliardi di dollari, a gennaio 2019; ora, dopo un disastroso tentativo di quotazione, viene valutato meno di 8 miliardi. A iniettare le risorse accettate da WeWork, poi, è stato Softbank, conglomerato giapponese già azionista della società, che salirà così all’80% del capitale.

Il piano prevede un nuovo finanziamento da 5 miliardi, l’offerta di rilevare fino a 3 miliardi di dollari di azioni dagli attuali azionisti e l’impegno ad accelerare un prestito da 1,5 miliardi in modo da fornire WeWork, si legge in una nota, “liquidità significativa per accelerare il cammino della società verso la redditività e flussi di cassa positivi”. Secondo il Financial Times è previsto un taglio di 4mila dipendenti, con la prossima riorganizzazione: il 30% della forza lavoro. Il piano a cui Softbank ha già iniziato a lavorare prevede che la società si concentri su tre mercati – gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone – accantonando per ora le ambizioni in India, Cina e America Latina.

L’accordo prevede che il fondatore di WeWork Adam Neumann lasci il cda per essere rimpiazzato dal presidente esecutivo di Softbank Marcelo Claure. A Neumann andranno 1,2 miliardi di dollari per le sue azioni, 185 milioni di ‘consulting fee’ e un finanziamento da 500 milioni. Una consolazione abbastanza sostanziosa, considerati gli episodi di cui si è reso protagonista Neumann, che ha fondato l’azienda nove anni fa e che tra l’altro è indicato come fattore fondamentale per il disastro dell’Ipo fallita di WeWork.

Neumann è infatti stato costretto ad abbandonare il ruolo di amministratore delegato pochi giorni dopo la retromarcia della società a Wall Street. Un’operazione accantonata in seguito allo scetticismo e ai dubbi degli investitori su WeWork e su Neumann stesso, leader ritenuto incontrastato e troppo potente. Salito alle cronache per aver fumato marijuana a bordo dell’area della società e famoso per le sue feste a base di tequila, Neumann è stato il promotore della bozza iniziale di documentazione per l’initial public offering, nella quale si precisava che le azioni nelle sue mani avevano diritti di voto 20 volte superiori a quelle ordinarie, che la moglie in caso di morte avrebbe potuto dire la sua sul successore e soprattutto che il consiglio di amministrazione di WeWork non avrebbe incluso donne. Requisiti contestati duramente e ‘corretti’ nel secondo prospetto presentato. Richieste che hanno complicato la posizione di Neumann, ora costretto ad abbandonare, definitivamente, la sua WeWork.

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