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Coronavirus, Bonomi e la responsabilità delle imprese

“La politica dello struzzo non paga e può fare peggio del Covid”. La frase del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, è la sintesi e il titolo dell’intervista rilasciata a La Repubblica. Da quando è presidente dell’Associazione di Viale dell’Astronomia, una manciata di giorni, ha tenuto una linea coerente: il ritardo e le lacune nell’intervento del governo a sostegno delle imprese, e la mancanza di una strategia che vada oltre l’emergenza, sono il principale ostacolo da rimuovere per uscire dalla crisi innescata dall’epidemia del Coronavirus. Una posizione netta, che si contrappone ad altre interpretazioni di parte: quelle del governo, della maggioranza, peraltro spesso divisa, dell’opposizione, del sindacato.

 

Un interesse contro un altro interesse. In un rimpallo di responsabilità e di colpe, presunte o reali, che difficilmente può portare a un risultato condiviso. Nell’intervista concessa da Bonomi a Repubblica manca il coraggio di alcune risposte. Non quello delle domande, che ci sono e sono anche inusuali per le nostre abitudini. Roberto Mania è rigoroso, anglosassone verrebbe da dire, quando chiede: “Voi industriali siete sempre pronti a dare lezioni, a fissare l’agenda degli altri. Un’autocritica mai? La crisi, tra le altre cose, ha dimostrato la fragilità del nostro capitalismo: aziende piccole, sottocapitalizzate, indebitate, familiari e chiuse ai manager. Mi fermo”. La risposta è evasiva e resta tale nonostante l’insistenza successiva di altre domande. “Il giorno in cui mi sono candidato ho detto ai miei colleghi: Se vogliamo cambiare l’Italia dobbiamo cambiare noi per primi”. Poi, come se fosse inevitabile rimandare la palla nel campo avversario, Bonomi torna a chiedere al Governo di sostenere le imprese medio-grandi e al sindacato di essere “aperto e collaborativo nelle scelte organizzative”.

 

Tutto abbastanza fisiologico. La grande impresa chiede attenzione, soldi e politiche pro crescita, otre alla disponibilità a rivedere la contrattazione e, inevitabilmente, a comprimere diritti e garanzie per i lavoratori. Servirebbe, invece, più coraggio. Sarebbe necessario rispondere a quella domanda con un atto di trasparenza. Le imprese, piccole, medie e soprattutto grandi, hanno, oltre al diritto di chiedere e alla libertà di negoziare, una grande responsabilità. Dovrebbero subito, oggi e non domani, andare a fondo e trovare risposte oneste rispetto agli errori commessi, alle scelte opportunistiche fatte, alla scarsa visione di lungo termine che hanno mostrato in tante occasioni. Non mancano gli esempi a cui guardare. Ci sono imprese, di ogni dimensione, che hanno scelto da tempo una strada diversa. Sono quelle che hanno investito in ricerca e innovazione, in formazione, che hanno scommesso sul proprio capitale umano e hanno relazioni sindacali solide con i propri dipendenti. Sono le imprese sane che possono guardare al futuro gestendo il contraccolpo della crisi del Coronavirus senza pensare solo a tagliare, a licenziare, a difendersi.

 

Bonomi cita il Governatore della Bankitalia per ricordare che “bisogna puntare sulla crescita” perché “sono 25 anni che il Paese perde produttività”. Vero. Visco, però, dice un’altra cosa decisiva. Il governo deve fare il governo, le imprese devono fare le imprese, le banche devono fare le banche, il sindacato deve fare il sindacato. Il risultato deve essere un nuovo contratto sociale, un compromesso fra gli interessi, una costruttiva presa di coscienza collettiva. Per questo, Confindustria e il suo presidente devono fare la loro parte. Partendo dall’autocritica e dalla capacità di mettere sul tavolo le proprie responsabilità.

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