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L’architettura fertile per salvare il mondo, conversazione con Michele De Lucchi

Il senso profondo delle cose attraversa i corpi e il costruito in un’armonia vitale. Una relazione nuova tra architettura e biologia cellulare raccontata da Michele De Lucchi, designer, architetto e scrittore, ospite al Festival internazionale di architettura Seed a Perugia (dal 24 al 30 aprile https://seed360.org/), in coppia con il biologo-musicista-compositore Emiliano Toso. 

Quali gli effetti dell’ambiente artificiale sulla salute delle persone? Che cosa è oggi l’architettura? “L’architettura ha a che fare con il nostro pianeta e quindi con le cellule”, spiega De Lucchi durante l’incontro. “Anzi, all’architetto, oggi, è richiesto un compito importante: quello di aiutare a capire meglio come occupare questa terra che abbiamo scoperto non essere infinita, eterna, inviolabile, ma molto fragile. Viviamo in un presente che ci fa paura: guerre, immigrazione, disuguaglianze sociali e nuove povertà, crisi climatica. Che soluzioni mettiamo in atto? Io non mi voglio solo occupare di costruire, non voglio che tutti quando guardano una gru pensino: oddio un altro pezzo di mondo che viene occupato! No, dovrebbero pensare: che bello un altro pezzo di mondo che viene rigenerato, salvato! Rigenerato come fanno in continuazione le cellule. Ho pensato che potrebbe essere che ci inventiamo un’architettura fertile, un’architettura che invece di occupare lo spazio e consumare il suolo, impianta vita“.

Il concetto di fertilità, secondo De Lucchi, come ricostituente per il pianeta. Nella foresta il terreno non è mai duro, le scarpe affondano in un morbido strato vegetale. Un fertile miscuglio di sostanze organiche che fa crescere rigogliosa la vegetazione. 

“Gli alberi alimentano l’humus, l’humus alimenta gli alberi, perché non pensare che anche l’architettura possa essere fertile? Che gli edifici dell’uomo alimentino il terreno e che il terreno alimenti gli edifici?”. Le Earth Stations di Michele De Lucchi progettate insieme al suo AMDL Circle, sono architetture per chiunque sappia immaginare oggi il mondo con una nuova chance di sopravvivenza. Sono edifici pubblici, biblioteche, condomini, abitazioni, spazi didattici, piccole comunità, costruite in legno che con il tempo ritornano humus. Stazioni per viaggiatori dove apprendere o reimparare la cosa più importante per l’essere umano: la convivenza.

“Iniziamo a pensare, quando costruiamo, che noi e gli altri siamo la stessa cosa, ed è tutto un mondo di immaginazione. L’immaginazione è fondamentale soprattutto adesso che abbiamo bisogno di ripensare al domani, un futuro migliore. È il momento di attivare idee positive. Come architetto so la differenza quando si insegna a disegnare i muri per separare e i muri per tenere insieme. Cambia tutto nell’atteggiamento mentale e di come pensare il domani. Questo cambiamento di atteggiamento trasforma l’architettura. Fino a oggi abbiamo costruito muri per separare la zona notte dalla zona giorno, lo spazio pubblico dallo spazio privato, il luogo del lavoro da quello della famiglia. Oggi tutto è cambiato e sta succedendo il contrario: c’è una grande tendenza a costruire ambienti nei quali le funzioni si sommano, si intrecciano, si intersecano. Pensate a come sono diventati gli uffici oggi. L’ufficio oggi viene progettato perché ognuno possa offrire una propria visione. Pensate ai musei. Oggi non vengono costruiti più solo per esporre e conservare le opere, oggi vengono progettati per diventare degli spazi di vita, dove si fanno delle cose, si mangia, si ascolta, si fanno esperienze. Oggi dobbiamo sfruttare le connessioni. Dobbiamo avere la capacità di mettere insieme tante forze che elaborano i dati che sono connesse. Come l’intelligenza artificiale”. 

Nell’immaginario di De Lucchi oggi l’architetto deve saper intervenire sulla mentalità, stimolare il più possibile l’immaginazione per affrontare i temi che sono di attualità. Noi come le cellule di cui siamo composti (50mila miliardi), come racconta Toso, dobbiamo reagire all’ambiente e adattarci all’ambiente. Disegnare gli ambienti non è scegliere i materiali e le tecnologie, ma disegnare i comportamenti delle persone che interagiscono con il costruito. Perché qualsiasi oggetto, prodotto, ambiente è in realtà uno strumento con la quale si comunica la nostra esistenza. 

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