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Andrea Rosi (Sony Music): ‘Vi spiego il momento d’oro della musica italiana’

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Pioniere nello sviluppo del consumo digitale della musica, grande conoscitore del mercato discografico (italiano e non solo), uomo dotato di fiuto imprenditoriale e carisma, appassionato rockettaro. Andrea Rosi, dal 2010 presidente e Ceo di Sony Music Entertainment Italy Spa, da assistente addetto stampa della gloriosa CGD agli inizi degli anni Ottanta, è diventato figura di punta dell’industria discografica italiana. Responsabile marketing in Warner Music, managing director in Polygram, fondatore di Black Out (famosissima label per la musica indie), ci spiega il momento d’oro della musica italiana in patria e all’estero.

Lei lavora nel mondo della musica da metà degli anni Ottanta. Come è cambiato il mercato italiano in questi 40 anni?

La trasformazione è stata totale, sia per le aziende che per tutto quello che circonda il mondo della musica: siamo passati da un sistema in cui si vendevano degli oggetti che col tempo si sono evoluti (dal vinile, all’audiocassetta, al CD), a un altro che prevede un accesso delle persone ai contenuti completamente diverso. Oggi il mercato è in continua crescita: l’anno scorso in Italia si è registrato un +11%, e le prospettive sono buone anche per quest’anno.

Con il suo avvicinamento alla Vitaminic (una delle prime digital download platform europee) nel 1999, è stato tra i primi a credere negli MP3 e in quel tipo di diffusione della musica.

Sì, mi sono sempre rivolto al futuro, è qualcosa che mi dà molta energia. Quell’anno mi stavo guardando intorno per trovare situazioni nuove, e sono venuto a contatto con l’iniziativa di un gruppo di ragazzi di Torino: da subito mi ha interessato moltissimo perchè ho visto un potenziale enorme, mi ci sono un po’ buttato e il tempo mi ha dato ragione.

Secondo un recente rapporto SIAE, tra il 2018 e il 2021 si è registrata una crescita del 7,6% sulle revenue provenienti dal diritto d’autore all’estero. Grazie ad artisti come Måneskin, Ultimo, Sfera Ebbasta e altri. È un bel momento per la musica italiana…

Sull’estero bisogna distinguere tra il mercato della musica tradizionale pop italiana (i cui anni d’oro sono stati i ‘90) e l’incredibile successo mondiale dei Måneskin che è tutta un’altra cosa. Parliamo per la prima volta di un successo globale, non limitato solo a regioni come il Sud America o l’Europa, che ha portato un nuovo interesse verso la musica italiana in generale.

Ci spiega le ragioni del successo dei Måneskin?

Il fenomeno Måneskin (che ho seguito sin dal primo giorno) deriva da un mix di elementi che si verifica forse una volta e mai più: grandissimo talento, giovanissima età, la capacità di avere un dialogo col pubblico, la rinascita del rock, la vittoria di Sanremo e poi dell’Eurovision. Tutto ciò li ha fatti diventare un fenomeno veramente importante con numeri notevoli visto che il loro mercato principale sono gli Stati Uniti, poi il Brasile. Per il loro concerto a Tokyo hanno venduto 20mila biglietti in un solo giorno.

È corretto dire che l’attenzione sulla musica italiana, e di conseguenza il mercato relativo, è aumentata anche grazie alle ultime edizioni del Festival di Sanremo?

Sì, mai come negli ultimi anni il Festival di Sanremo riflette la realtà del mercato, grazie a scelte oculate fatte già a partire dalla direzione artistica di Claudio Baglioni nel 2018, e poi da Amadeus. Oggi Sanremo è l’evento più rilevante per il mercato della musica in Italia, la playlist di Sanremo è una delle più ascoltate al mondo, le aziende si preparano con grande anticipo: mentre prima molti guardavano a Sanremo come un rischio, oggi tutti vogliono partecipare.

Qual è la sua posizione sulla questione Meta/SIAE?

Penso che la retribuzione debba essere equa. Aziende come Sony o Universal fanno investimenti enormi sui loro artisti, sulla produzione e sul marketing. Gli artisti devono essere retribuiti in maniera giusta, secondo me la posizione di SIAE era ineccepibile.

Qual è la visione e la mission di una major come Sony Music Italia sia nel nostro Paese sia in relazione al mercato globale?

Creare delle carriere a medio e lungo termine. Oggi il ciclo di vita del prodotto è molto più lungo rispetto a prima, proprio per la tipologia di mercato caratterizzata dallo streaming, cioè dal tempo che le persone occupano ascoltando musica, dalle playlist che le persone si fanno o ascoltano. Il tempo di sfruttamento dura di più: l’85% del fatturato di un’azienda come Sony è fatto dai brani sotto la top 200. Bisogna dunque creare i presupposti per avere musica che duri nel tempo, sia attraverso le hit commerciali, sia attraverso proposte di grande qualità che secondo me poi pagano nel tempo.

Qual è il futuro dell’industria discografica?

Secondo me l’evoluzione che abbiamo davanti è innanzitutto l’allargamento del mercato. In Italia siamo al penultimo posto in Europa dopo il Portogallo per la percentuale di persone che passano da essere utenti gratuiti di servizi di streaming a servizi Premium (con un canone). Siamo a un bassissimo 13% di conversione, con grande possibilità di crescita. Poi il mercato ha un potenziale enorme soprattutto nei Paesi emergenti come Cina, India, Brasile e Messico, che oltre ad avere una popolazione enorme hanno anche una demografia più giovane.

Su chi scommette oggi Sony Music Italia?

Consiglio l’ascolto del nuovo album di Tedua, un ragazzo che ha un talento incredibile soprattutto a livello di composizione dei testi. Si intitola ‘La Divina Commedia’ e secondo me traccerà una linea importante nel mercato italiano.

 

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