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MPW for Women: l’integrazione femminile è anche un tema economico

Bisogna lavorare a tutti i livelli per costruire il percorso ideale che valorizzi le donne ed il loro ruolo nella società, dalla scuola al lavoro. E’ quanto emerso dall’appuntamento mensile con gli E-Talk delle Most Powerful Women, MPW for Women dedicato alle donne che supportano le donne.

Ed è un invito che fa ancora più riflettere, alla luce dei dati diffusi in questi giorni a margine del World Economic Forum: l’Italia scivola al 79mo posto – su 146 paesi – nel report 2023 del Global gender gap. Ben 13 le posizioni perse dal Paese in un solo anno. E rispetto alla classifica generale, dal 40mo posto l’Italia finisce in 64ma posizione. Diventa sempre più inderogabile, quindi, l’intervento a supporto delle donne, com’è anche emerso dal dibattito delle MPW for Women, a cui hanno partecipato quattro professioniste che, fin dal principio del loro percorso, hanno scelto di supportare la crescita anche personale e sociale delle altre donne: Mirta Michilli, Direttore Generale Fondazione Mondo Digitale, Claudia Laricchia, Chief of Social mission and External relation di Future Food Institute, Mariangela Siciliano, Head of Education, Business Promotion & Supply Chain Sace, Annamaria Tartaglia, founder Angels4women. Il format degli E-Talk di MPW prevede anche un punto di vista maschile, e  in questo caso si tratta di Francesco Cerruti, direttore generale di Italian tech Alliance, un uomo che si è  distinto per la sensibilità e l’impegno rispetto al tema.

L’incontro è stato moderato da Mariapia Ebreo, giornalista di Fortune Italia, che ha puntato l’attenzione sull’integrazione femminile e il ruolo dei change maker, con un excursus storico: nel secolo scorso erano gli uomini più sensibili che, utilizzando gli strumenti in loro possesso, dare voce alle donne capaci, a cui la società impediva di avere ruoli di primo piano, considerati tipicamente maschili.  Ma è altrettanto vero che le donne si sono sempre battute per affermare i propri diritti, e sostenere le altre donne. Cambiano i tempi e gli strumenti a disposizione diventano sempre più ampi, e digitali. E ci sono realtà come Fondazione Mondo Digitale, impegnate ad abbattere i pregiudizi di genere nei settori scientifici e tecnologici, a vantaggio delle opportunità professionali offerte dall’ambito tech, anche e soprattutto per le ragazze.  Fra i progetti promossi c’è Coding Girls che si rivolge alle studentesse nel tentativo di contrastare gli stereotipi e avvicinarle alle materie Stem (in Italia le donne specializzate in tecnologie sono solo il 16%).

“Molto dell’orientamento scolastico è lasciato alle iniziative delle famiglie, e questo porta le ragazze a fare delle scelte di orientamento tradizionali” commenta Mirta Michilli, che aggiunge: “Servono iniziative di raccordo scuole, università impresa, e di ‘role modeling’ in cui le donne che lavorano raccontino alle ragazze le difficoltà che hanno incontrato e come le hanno superate. Le giovani donne devono trovare supporto nei momenti importanti delle scelte della loro vita”.

Il tema dell’integrazione femminile è assolutamente globale, come dimostra anche la ranking del Global Gender Gap, e non possiamo prescindere dal considerare la condizione delle donne a tutte le latitudini. Nel corso del talk questo tema è stato affrontato da Annamaria Tartaglia, che è anche advisor delegate del W20 (G20) e W7 (G7) ed è rientrata di recente dall’India, dove ha seguito i lavori del W20. “È fondamentale il confronto, che consente di raccogliere le esperienze migliori degli altri paesi, dati verticali che possono essere trasferiti grazie ad un rapporto di cooperazione internazionale, basato sull’esperienza che possiamo condividere”.

Rispetto al lavoro condotto dal W20 in India, la Tartaglia racconta di come “ci sia stata continuità rispetto al lavoro cominciato col W20 del 2021 a Roma, ovvero il riconoscimento delle donne e le bambine in tutta la loro diversità”, arrivando a confermare la necessità di “avere report annuali di progressi e gap, di modo che ci sia tracciabilità di quello che viene fatto, e l’effettivo impatto a livello di G20”.  L’Italia aveva portato avanti due commissioni specifiche, “una sul tema della cultura, ovvero come nel linguaggio si possa fare un percorso per combattere gli stereotipi, e poi un punto relativo alla medicina di genere, qualcosa che andava al di là dei temi tradizionali, come imprenditoria e lavoro”. In merito a quello che accade, in conseguenza, anche in Italia, Annamaria Tartaglia sottolinea la necessità che “il tema delle gender equality, nelle aziende, venga affrontato già in fase di definizioni di budget, investimenti e rappresentanza delle donne e la raccolta dei dati di genere, sia a livello sensitive che disaggregato”.

Veniamo ora al mondo delle aziende. L’Italia ha molta strada da fare, per sostenere l’imprenditoria al femminile. Mariangela Siciliano ha inquadrato, numeri alla mano, il tema della leadership al femminile, in Italia. “Nel nostro Paese solo il 22% delle imprese è guidato da donne, e questo già ci da la misura di quello che c’è da fare. Solo 3 donne su 10 ricoprono posizione di leadership, per le posizioni di Ceo nel 2022 siamo ferme al 20% nei vertici aziendali, era il 18% nel 2021, mentre siamo al 30% nei ruoli di senior management”. Non si tratta però solo di un dato sociale, sottolinea la Siciliano “una partecipazione femminile bilanciata nel mondo del lavoro racchiude un potenziale che va dai 50 ai 150 mld di euro, in termini di Pil globale, quindi la parità di genere è anche una questione economica”. E se guardiamo al dato generale dell’occupazione femminile, in Italia, siamo al 51,3% contro il 62,3% della media europea.

La Siciliano prova a darci uno “spiraglio di luce, facendo  un’identikit dell’impresa femminile in Italia: ha dimensioni più ridotte rispetto a quelle condotte dagli uomini, è più concentrata nel mondo dei servizi più che nell’industria, ed è presente soprattutto al Sud”. Il Mezzogiorno d’Italia, continua l’analisi dell’esperta, “sconta divari occupazionali e di genere severi, dove c’è un gap più importante da compensare. Le imprese femminili sono più propense ad abbracciare la transizione green e digitale, sono quelle che hanno utilizzato maggiormente le misure del Pnrr, e se guardiamo al digital gender gap, per numero di ragazze laureate Ict, siamo fermi a 1.7% rispetto all’8% di uomini, ma nelle nostre Pmi ci sono meno laureate ma più donne con skillset tecnologico”.

Parliamo ora di auto-imprenditorialità e startup. Rispetto all’integrazione femminile, intesa come partecipazione all’economia e società digitale, l’Italia fa meglio solo di Romania, Bulgaria, Polonia e Ungheria.
È Francesco Cerruti che racconta di una situazione non rosea, rispetto alle startup al femminile  in Italia e in Europa: “I numeri ci regalano uno scenario non consolante. Nei primi momenti di vita di una startup la necessità di tenere l’attenzione sulla propria idea, che poi diventa una startup, è fondamentale. E per farlo occorre tempo, per dedicarsi 24/7 al proprio progetto imprenditoriale”. Ma per come è costruita la società oggi è difficile reperire questa disponibilità di tempo. “Cito uno studio di pochi giorni fa, che descrive numeriche su startup e gender balance: sono il 10% le startup Eu a conduzione femminile, il 7% sono quelle che hanno raccolto investimenti che, nel totale, corrispondono solo al 2%  dei fondi raccolti in tutta la Eu.

In Italia la situazione è la seguente: “c’è il 14% di donne founder, il 14% di investitrici, tanto fondamentale nella filiera dell’innovazione, e il 14% di business angels, ruolo fondamentale nel percorso di crescita di una startup innovativa”. Con un approccio pragmatico e da papà in carriera,  Cerruti ci tiene a presentare un dato in esclusiva: “C’è un altro studio, che è decisivo, una percentuale di uno studio che presento in anteprima oggi, che ho condotto io stesso prendendo le chat dell’asilo dei miei due figli: nelle chat ci sono 6 maschi e 44 donne, 13% in negativo”. Dice di non voler scadere nella retorica, però sottolinea come il tempo sia la vera risorsa scarsa per chi voglia fare impresa: “È fondamentale soprattutto nell’ambito dell’imprenditorialità innovativa, in un paese in cui è difficile fare impresa innovativa, è indispensabile che ci sia una migliore distribuzione delle responsabilità all’interno delle famiglie, perché senza la commodity del tempo, c’è una minore possibilità di avviare un’impresa di successo. E questo studio fatto da me, in quattro minuti, è quello che ci dovrebbe far drizzare di più le orecchie”.

E cambiando prospettiva, non cambia però la considerazione che alle donne manca la possibilità di avere un libero accesso alle risorse, che siano di tempo o economiche, ma anche di energia. Ne ha parlato Claudia Laricchia, partendo aneddoto di Barack Obama che, all’Expo di Milano, le ha detto che “il cambiamento climatico è alla fine della tua forchetta”. Lei stessa è stata a contatto con i Food Heroes, eroi dell’alimentazione della Fao, e ha formato i giovani agenti della Green Economy mondiale. Che ruolo possono avere le donne in questo campo

“Quello di Obama è un aneddoto a cui sono molto legata, perché ben sintetizza le connessioni fra il cibo,  la crisi climatica e le soluzioni che possono avere il sapore delle innovazioni, come quelle di cui ci occupiamo in Future Food Institute. La Fao ci ricorda che il 45% della forza di lavoro agricola è composta da donne, in Italia meno del 30%”. Il dato ci potrebbe far pensare ad un bilanciamento, ma, dice Laricchia, “dobbiamo analizzare l’accesso alle risorse, perché le donne hanno accesso limitato a risorse naturali, acqua, suolo, energia, e alle risorse finanziarie, alla possibilità di guidare le aziende agricole”. Produrre cibo può inquinare. “Il modo in cui produciamo, trasformiamo, produciamo cibo inquina, e un ruolo più attivo delle donne potrebbe contribuire a mitigare questo fenomeno, anche se gli effetti sono ormai irreversibili, dobbiamo adattarci alla crisi climatica e anche questo passa da una leadership al femminile”. Questa è la “decade of action” delle Nazioni Unite, quindi va bene fare analisi e invitare alla consapevolezza, ma è meglio continuare ad agire, perché il tema delle donne in agricoltura riguarda tutti: le Nazioni Unite hanno stimato che, se le donne avessero lo stesso accesso alle risorse che hanno gli uomini, consentirebbero una la resa della produzione agricola del +30% ,mentre il Pil di alcuni paesi aumenterebbe fino al 40%: in Usa del 5% in Giappone 9%  e in Egitto del 34%”. Quindi le donne vanno supportate da tutti, si tratta di un tema di sviluppo sostenibile”.

 

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