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Huawei, è ancora scontro. Usa: lavora per il governo cinese

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Ormai non si può più parlare di sospetti, nel caso ci fossero ancora dubbi: Huawei, per gli Usa, non sta dicendo al mondo la verità. E nell’accusare il colosso (e il governo) cinese stavolta la Casa Bianca ci mette la faccia: quella del segretario di Stato Mike Pompeo, che in un’intervista a Cnbc ha dichiarato che ”mettere le proprie informazioni nelle mani del partito comunista cinese è ‘de facto’ un vero rischio”. La Cina, per Pompeo, presenta quindi un rischio alla sicurezza nazionale.

Dire che Huawei non lavora per ”il governo cinese è un falso. L’amministratore delegato di Huawei su questo almeno non sta dicendo la verità agli americani” mette in evidenza Pompeo, dicendosi convinto che altre aziende Usa taglieranno i rapporti con Huawei, dopo il caso Google che ha mandato inizialmente nel panico i mercati. Proprio riguardo al taglio di Android, l’azienda tlc cinese oggi si è dimostrata pronta a reagire al problema del software dei suoi dispositivi mobili (proprio come sembra preparata ai problemi dell’hardware). Il sistema operativo ‘made in Huawei’ sarà lanciato al più presto in autunno e non oltre la primavera del 2020. È quanto ha detto Richard Yu, capo della divisione consumer business del colosso di Shenzhen, a conferma delle indiscrezioni che circolano da ieri sui media cinesi. La mossa, scrive il Global Times, “riflette la strategia di Huawei di diventare indipendente e trovare soluzioni alternative” alle forniture di componenti hi-tech dopo l’ultima stretta alla vendita decisa dagli Usa.

“Siamo disponibili a continuare a usare i software di Google e Microsoft, ma non abbiamo altra scelta” che lo sviluppo di un sistema autonomo, ha affermato Yu, nel mezzo delle tensioni commerciali tra Usa e Cina. Yu ha assicurato che il sistema sarà di ampia portata e utilizzabile per l’operatività di smartphone, computer, tablet, tv, automobili e dispositivi portatili smart, nonché compatibile con tutte le applicazioni di Android. I rumor hanno movimentato i titoli di sviluppatori domestici in Borsa, come Wondertek e Ningbo Bird, balzati ieri a Shanghai del 10%, al limite massimo dei guadagni quotidiani consentiti.

La vicenda mostra però anche i limiti della Cina nel settore: Huawei non ha uno sviluppatore sufficientemente valido sul mercato interno tale da sostenere l’evoluzione di prodotti e aggiornamenti, come Android di Google o iOs di Apple. E ha per altro verso rimarcato l’importanza di possedere tecnologie core, nonché quanto sia urgente accelerare, dall’ottica di Pechino, l’autosufficienza. Alcuni media cinesi hanno menzionato in settimana già l’avvio delle fasi di test del sistema operativo di Huawei destinato a sostituire gradualmente Android. Gli sforzi del gruppo di Shenzhen, includendo gli sviluppi interni dei microchip, serviranno a ridurre il peso delle pressioni esterne. La “finestra” di 90 giorni concessa dall’ amministrazione Trump per gli acquisti dai fornitori Usa punta a mantenere la piena operatività dei network esistenti. Alla scadenza, senza svolte nel contenzioso commerciale, è difficile che Google possa continuare a vendere i suoi prodotti.

Alla contromossa tech di Huawei si accompagna quella politica del Governo cinese (precedente alle dichiarazioni di Pompeo). La Cina ha presentato “una grave protesta formale” contro gli Usa lamentando la denigrazione e le azioni a danno di Huawei, risvolto più famoso dell’escalation della guerra commerciale tra i due Paesi. “La Cina – ha affermato nella conferenza stampa settimanale il portavoce del ministero del Commercio, Gao Feng – prenderà tutte le misure necessarie per aiutare le compagnie cinesi a migliorare la capacità nella gestione di questi rischi”. La Cina, ha aggiunto Gao, spera che gli Usa “si comportino razionalmente”, correggendo “le azioni pericolose e sbagliate” e optando per i colloqui sul commercio all’insegna del “rispetto reciproco”. Un invito, a quanto pare, ignorato da Pompeo. In ogni caso, ha chiarito Gao, non ci sarà alcun passo indietro da parte di Pechino sulle questioni considerate “di principio fondamentali”. La migliore reazione alle “prepotenze americane è avere le compagnie cinesi più forti”, a favore delle quali Pechino agirà “a tutela degli loro interessi” avendo fiducia e capacità nel poterlo fare.

Lu ha rinnovato le critiche della Cina verso gli sforzi degli Stati Uniti finalizzati a limitare la cooperazione commerciale tra società hi-tech americane e il colosso delle tlc Huawei e altre compagnie tecnologiche cinesi. In questo modo, Washington ha “seriamente colpito lo sviluppo e la cooperazione scientifica e tecnologica a livello globale, danneggiando interessi vitali di importanti imprese e Paesi”. Il portavoce si è detto convinto che i partner stranieri di Huawei “ignoreranno che irragionevoli richieste siano attuate al servizio del governo Usa”, commentando il taglio delle relazioni nel design dei microchip tra ARM e il gruppo di Shenzhen, in seguito alla stretta americana. Washington, ha accusato il portavoce, ha usato il potere statale per colpire altre compagnie straniere.

Intanto, dopo Huawei, gli Stati Uniti potrebbero inserire altre aziende cinesi nella “Entity list”, la lista nera del commercio. Lo scrive il Wall Street Journal, citando fonti secondo cui il Dipartimento del Commercio Usa starebbe valutando la questione. Tra le aziende al vaglio potrebbero esserci Hikvision e Dahua, due società cinesi che producono apparecchi di videosorveglianza e che sono state già segnalate da alcuni membri del Congresso. Nel frattempo, riferisce sempre il Wsj, a Washington una proposta di legge bipartisan prevede di stanziare fino a 700 milioni di dollari per aiutare le aziende di telecomunicazioni, soprattutto nelle aree rurali, a rimuovere dalle loro infrastrutture, e a rimpiazzare, le apparecchiature di Huawei, Zte e aziende affiliate. La legge prevede anche il divieto usare i prodotti e i servizi di Huawei e Zte nelle reti 5G sviluppate in Usa.

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