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Censis, giovani e donne le categorie più a rischio povertà in Italia

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Il lavoro in Italia paga poco e a farne le spese sono soprattutto donne e giovani: le categorie più a rischio povertà. Lo certifica il IV rapporto Tendercapital-Censis sulla sostenibilità sociale, che fotografa un quadro preoccupante per il nostro Paese. La svalorizzazione del lavoro, problema atavico per l’Italia, assume con il boom dei prezzi dell’energia e la spinta inflattiva contorni ancora più desolanti.

L’immagine che ci restituisce il rapporto è quella di un popolo segnato da un clima di sfiducia, incapace di guardare al futuro con ottimismo. Una negatività che trova conferme nei numeri: se si guarda al ranking costruito in base alla variazione media delle retribuzioni in Europa dei dipendenti a tempo pieno, negli ultimi trent’anni l’Italia si colloca all’ultimo posto. Il tema riguarda tutti ma colpisce con maggiore incisività alcune categorie, che diventano così ancora più vulnerabili rispetto agli altri gruppi sociali.

Giovani

In primo luogo, i giovani. L’istruzione non basta più per ottenere un lavoro adeguato e lo stesso lavoro, quando è qualificato, non offre poi sempre garanzie di reddito, sicurezza sociale, percorsi di crescita socioeconomica. È il paradosso di una generazione molto acculturata, che si affaccia sul mercato del lavoro consapevole che i propri studi non sono più sufficienti per assicurarsi un lavoro stabile e soddisfacente. Da qui, uno stato d’animo di incertezza ed ansia per il futuro.

Il 30,8% dei giovani è assunto con contratto a termine, contro una media del 13,3% per il totale degli occupati. Anche la quota degli occupati part time è più elevata della media, il 20,6% del totale. La conseguenza di forme di impiego più precarie è avere redditi più bassi: il reddito medio annuo per un millenial è di 14.525 euro lordi, contro i 22.633 della media degli occupati. Può essere considerato vulnerabile quasi il 40% dei ragazzi, in quanto svolge lavori a termine e/o part time, i cosiddetti lavori non standard, che difficilmente garantiscono retribuzione e stabilità necessarie a fare progetti per il futuro. In un quadro del genere, pensare di mettere su famiglia, in un contesto di precarietà strutturale, diventa sempre più complicato. 

Donne

Anche le donne rientrano fra le categorie maggiormente penalizzate nel mondo del lavoro e dunque più vulnerabili. Il gender gap del lavoro e delle retribuzioni fa del nostro Paese il fanalino di coda dell’Europa. La condizione lavorativa femminile è peraltro peggiorata notevolmente durante la pandemia e non è ancora tornata ai livelli pre-Covid. Il tasso di attività femminile, che esprime la percentuale di donne tra i 15 e i 64 anni disponibili a lavorare, si attesta al 56,2%; il tasso di attività maschile è invece pari al 74,5%. Allarmante risulta essere pure il tasso di occupazione: 50,7% per le donne contro il 68,8% dei maschi. Il tasso di disoccupazione è del 9,6% per le donne e del 7,4% per gli uomini.

Quando trovano un impiego, a penalizzarle sono le tipologie contrattuali. Prevalgono infatti soluzioni di contratti non standard, ossia a termine e part time, il cui trattamento economico è più basso e con minori tutele. Forme contrattuali meno vantaggiose vanno di pari passo con stipendi meno elevati: il reddito medio annuo di una donna con lavoro dipendente è di 17.880 euro, ben al di sotto dei 21.186 euro medi degli uomini. La forbisce si acuisce se guardiamo ai lavoratori indipendenti, 34.560 euro il reddito medio annuo per gli uomini, appena 21.975 per le donne.

Sud

Le povertà più consolidate possono osservarsi però anche dal punto di vista della loro distribuzione geografica: in questo caso è il Mezzogiorno a destare maggiore preoccupazione. Secondo i dati Istat, nel 2021 il 44,1% delle persone in povertà assoluta, ossia in una condizione tale da non poter sostenere le spese minime per condurre una vita accettabile, era residente nelle Regioni del Sud e nelle Isole. Delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale, il 41,2% è residente nel Mezzogiorno, il 21% nel Centro, il 17,1% nel Nord-Ovest e il 14,2% nel Nord-Est.

 

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